giovedì 23 giugno 2011

Zombies nazisti e noiosi





















Oasis of the zombies, Jesus Franco, 1981

Quattro studenti partono alla ricerca di un tesoro nascosto in un'oasi maledetta. Una volta a destinazione, scopriranno che l'oro è protetto da un feroce gruppo di zombies nazisti.
Qui non c'è proprio niente da spoilerare, quindi lo dico subito: prima che gli zombies ammazzino tutti (o quasi), e che il protagonista principale, quando gli viene chiesto se abbia o meno ritrovato il tesoro che stava cercando, ammetta di aver invece ritrovato se stesso (?!) - suscitando nel sottoscritto la prima reazione di sorpresa dall'inizio del film -, occorre purtroppo aspettare un'ora e venti minuti di noia pura. Regia assente, scene montate in modo più o meno casuale, recitazione pessima, dialoghi ridicoli... Insomma, niente da salvare. Si inizia con due amiche in hot pants che – non si sa bene né come né perché – finiscono nell'oasi maledetta che rivedremo dopo una quarantina di minuti di film e che tenendosi per mano sculettano in attesa di farsi divorare dai morti viventi che spuntano dalla sabbia. Una scena davvero squallida che però, a pensarci bene, è addirittura una delle più “riuscite” del film, purtroppo. Continuare questo commento non avrebbe senso, l'ho visto tre giorni fa e l'ho già rimosso...


Dead Snow, Tommy Wirkola, 2009


Qui il discorso cambia, ma solo fino a un certo punto. Il film ha ritmo, qualche idea carina, e si lascia vedere senza troppi problemi, ma mi aspettavo molto di più. La storia è più o meno la stessa del disastro di Franco: un gruppo di studenti in vacanza in una baita sperduta in mezzo alla neve, scopre un tesoro appartenente a degli zombies nazisti disposti a tutto pur di rientrarne in possesso.
Nella parte centrale è inevitabile pensare ai due primi film della trilogia di Raimi, coi ragazzi rinchiusi in casa intenti a difendersi dal terrore che viene da fuori. Una formula ripresa poi altre decine di volte, e che in questo caso funziona ancora discretamente, sebbene - è ovvio - la qualità dei film di Raimi sia infinitamente superiore. Il problema è che dopo un po' ci si stufa, le trovate decenti diventano ripetitive e le risate scarseggiano. Dimenticabilissimo!

Insomma, se proprio volete guardatevi il secondo, ma il primo evitatelo ad ogni costo.

sabato 18 giugno 2011

Serenity


Di Joss Whedon, 2005 (USA)
Con Nathan Fillion, Summer Glau, Gina Torres, Sean Maher, Jewel Staite, Alan Tudyk, Adam Baldwin
Scritto da Joss Whedon
Montaggio di Lisa Lassek
Fotografia di Jack N. Green
Musiche di David Newman
Durata: 119 min.

In un film di fantascienza ironico e fracassone da cui non ci si aspetterebbe nulla di insolito, è proprio Mal, il protagonista principale, a dirlo: “metà dello scrivere la Storia consiste nel nascondere la verità”. L'Allenza, quindi, racconterebbe lo svolgersi dei fatti che hanno portato alle vicende del film più o meno in questa maniera:
Tanti anni fa, la Terra è diventata inabitabile, il pianeta non poteva più sostenere la presenza umana e siamo stati costretti a viaggiare verso nuovi sistemi solari in cui poter vivere. Ne abbiamo trovato uno con decine di pianeti che la nostra tecnologia ci ha permesso di rendere abitabili. L'Alleanza si è stabilita in quelli centrali, creando un nuovo sistema in grado di garantire la protezione da tutti i criminali e i ribelli che hanno preferito non farne parte stabilendosi nei mondi più periferici e rifiutando ogni idea di giustizia e civiltà. La guerra per l'unificazione è stata inevitabile e devastante, ma l'Alleanza ha finito per avere la meglio e ora è possibile godersi i vantaggi di una civilizzazione avanzata e pacifica.
Ovviamente le cose non stanno così: l'Alleanza è un grande governo convinto di poter raggiungere attraverso la repressione e il condizionamento una società di esseri umani perfetti (secondo loro), senza “crimini” né peccati, in cui ogni individuo corrisponda ai canoni imposti dai pochi che comandano. I “ribelli” invece hanno come unico desiderio quello di evitare l'influenza dei pianeti centrali, evitando di aggiungersi alla massa benestante (a cui Whedon non dedica nemmeno mezza inquadratura) e provando a vivere in modo autonomo.
Insomma, fantascienza...

- Ma con tutti i progressi sociali e medici che possiamo portare agli indipendenti, perché continuano ad attaccarci?
- Siamo invasori.
- River?
- Alla gente non piacciono gli invasori. Noi diciamo loro cosa fare, cosa pensare, non correre, non camminare. Entriamo nelle loro case e nelle loro teste senza averne il diritto; siamo intrusi.
- River, noi non diciamo alle persone cosa pensare, proviamo solo a mostrare loro il modo giusto di farlo.
In inglese il dialogo è leggermente diverso - e ha inoltre il pregio non da poco di non essere inascoltabile a causa del doppiaggio -, ma il significato resta quello.

È in questo contesto che si muovono i personaggi di Serenity. Mal e il suo equipaggio viaggiano di pianeta in pianeta guadagnandosi da vivere con rapine e altri lavori più o meno legali, e offrendo un rifugio ai due fuggiaschi River e Simon, ricercati a causa del segreto che la ragazza porta dentro di sé, e che se fatto trapelare rischierebbe di smascherare la politica imperialista e senza scrupoli dell'Alleanza.
A complicare il tutto ci si mettono anche i Reavers, misteriosi cannibali spaziali da cui anche l'Alleanza preferisci tenersi lontana.
Non c'è niente di nuovo in questo film: complotti, "buoni" che in realtà sono cattivi, inseguimenti, esperimenti del governo finiti male, arti marziali... Tutti elementi che però Whedon gestisce con cura e ironia senza mai esagerare, riuscendo a costruire un universo magari un po' confuso ma sicuramente funzionale, e che chiunque abbia visto le quattordici puntate della prima e unica stagione di Firefly saprà cogliere sicuramente meglio di quanto non abbia fatto io in queste poche righe (ho saputo dell'esistenza di Firefly dopo aver visto il film, e finora ho visto solo la prima puntata).
Il risultato finale è gradevolissimo, complice un'atmosfera da b movie, umorismo efficace, qualche elemento horror (molto leggero), e una trama che riesce a coinvolgere.
Ha vinto il premio Hugo del 2006, e in un sondaggio inglese è stato addirittura votato come miglior film di fantascienza di sempre.


mercoledì 15 giugno 2011

Dal suicidio con ironia a quel lavoro che proprio non rende liberi

Il bizzarro museo degli orrori, Dan Rhodes, 256 pag.
Pavarotti, nonostante la mole imponente, è timido e riservato, parla con una vocina flebile e lascia che sia la moglie ad occuparsi delle faccende più importanti, come ad esempio la gestione del museo che hanno aperto per convincere gli aspiranti suicidi a cambiare idea e a preferire la vita a quel gesto così definitivo. Ma i due non sanno che ogni stanza del museo provoca in realtà l'effetto opposto, e non è raro che il vecchio guardiano, subito prima che un ragno gli si infili in bocca durante il dormiveglia, senta dalla sua stanza dell'ultimo piano il rumore di una sedia che cade o dell'ultimo lamento disperato di uno che ha deciso di farla finita impiccandosi o tagliandosi le vene, dopo essere rimasto nascosto in un angolo e aver aspettato che calasse la notte per andarsene una volta per tutte.
A quel punto il vecchio si ritrova costretto a scendere, ripulire tutto, e con la solita flemma che lo contraddistingue chiamare il suo amico medico perché venga a prendere il corpo.
Intanto, in un'altra città, Madalena si rende conto che Mauro non è più in grado di amarla come lei vorrebbe, e, quasi per caso, scopre in un piccolo articolo di giornale l'esistenza di uno strano museo che potrebbe fare al caso suo.
È tutto trattato con ironia, e il romanticismo non manca, ma pur essendo una favola spensierata si rimane stupiti di ritrovarsi di fronte a cannibalismo, necrofilia ed altri temi non proprio allegri, perlomeno dopo aver visto la copertina viola e “soffice”, quasi fosse un libro per bambini. Carino.



Disoccupazione creativa, Ivan Illich, 96 pag.
Con Giulia era facile evitare di parlare di quello che succedeva al di fuori del nostro universo. Avevamo vent'anni e altro a cui pensare, e le questioni di poco conto che non ci riguardavano le liquidava aggiustandosi i capelli in un tentativo veloce di treccia, oppure limitandosi a guardarmi e facendomi dimenticare tutto ciò che non mi piaceva. Non che lo volesse davvero, sia chiaro, però ci riusciva e questo mi bastava.
Siamo uguali, mi diceva in tono rassegnato, come se già avesse capito che crescendo avremmo avuto bisogno di altro e che i progetti, il lavoro e lo studio sarebbero stati necessari. Per potersi inserire, realizzare, semplicemente per vivere come ci viene imposto. Ora, dopo anni e anni, le mie priorità sono rimaste più o meno le stesse e tutto quello a cui ancora non pensavo per colpa dell'età continua a sembrarmi estraneo, ingiusto. Il sentirsi dire che a ventisette anni sarebbe necessario iniziare a vedere il mondo nel “modo giusto” non fa altro che consolidare il mio pensiero. Alcune idee non vanno bene semplicemente perché non corrispondono a quelle della maggioranza?
A farmi paura è tutta questa uniformità, e andrà a finire come nelle pubblicità per il turismo. Sono tutte uguali: ti fanno vedere gente che fa surf, altra che gioca a golf, una coppia in riva al mare, discoteche e altre attrazioni ormai disponibili nella maggior parte dei paesi del mondo, senza per forza dover andare fino a quello sponsorizzato dallo spot. Nient'altro. Paesi come prodotti da consumare.
Creano i bisogni e a pagamento ti forniscono la soluzione. Per ora stanno vincendo loro. La merda è lì, in bella vista, e non serve nemmeno più nasconderla. Viene accettata per quello che è. Ma va bene così, a quanto pare...
A volte però, fra dialoghi brevi ma benefici con gente che tutto sommato la pensa come me e tentativi di difesa da chi è convinto che vada tutto bene e d'altronde il mondo va così e pensandola come te non si va avanti e sei un disadattato, capita di leggere libri come questo di Ivan Illich.

Tutti i partiti politici esistenti ritengono necessaria una produzione ad alta intensità d'energia, magari con disciplina cinese, senza capire che la società da essa derivante negherà ancora di più alla gente il libero uso dei propri arti. Qui le auto private, là gli autobus pubblici, scacceranno le biciclette dalla strada. Tutti i governi vogliono una forza produttiva ad alta intensità di occupazione, ma sono restii a riconoscere che gli impieghi possono anche distruggere il valore d'uso del tempo libero. Tutti insistono perché si arrivi a una definizione professionale, più completa e oggettiva, dei bisogni della gente, ma sono insensibili all'espropriazione della vita che ne consegue.

Indifferente a ogni scambio che non sia contrassegnato da un prezzo monetario, la società industriale ha creato un paesaggio urbano inadatto a persone che non divorino ogni giorno in metalli e carburanti l'equivalente del proprio peso, un mondo nel quale la costante necessità di difendersi dalle conseguenze indesiderate di un numero maggiore di cose e di controlli ha portato alla luce nuovi filoni di discriminazione, di impotenza e di frustrazione.

In pochi decenni il mondo si è amalgamato. Le reazioni degli uomini agli eventi quotidiani si sono standardizzate. Le lingue e le divinità possono ancora apparire differenti, ma ogni giorno altra gente si aggrega a quell'enorme maggioranza che marcia al ritmo della medesima megamacchina. [...] Ora striduli e soporiferi, i media penetrano a forza nella comune, nel villaggio, nell'azienda, nella scuola. I suoni prodotti dagli autori e dagli annunciatori di testi programmati stravolgono di giorno in giorno le parole della lingua viva facendone tanti blocchi di frasario per messaggi prefabbricati. Oggi solo chi è tagliato fuori dal mondo oppure l'anticonformista ricco e ben protetto può far giocare i propri bambini in un ambiente dov'essi sentano parlare persone anziché divi, annunciatori o istruttori. In ogni parte del mondo si vede dilagare quella disciplinata acquiescenza che caratterizza lo spettatore, il paziente e il cliente. Aumenta rapidamente la standardizzazione del comportameno umano.

Ivan Illich