sabato 30 aprile 2011

Source code


Di Duncan Jones, 2011 (USA, Francia)
Con Jake Gyllenhaal, Michelle Monaghan, Vera Farmiga, Jeffrey Wright
Scritto da Ben Ripley
Montaggio di Paul Hirsch
Fotografia di Don Burgess
Musiche di Chris Bacon
Durata: 93 min.

Un uomo si risveglia di colpo su un treno diretto a Chicago. Davanti a lui una ragazza che sembra conoscerlo gli parla del proprio lavoro. Lui non capisce, le dice di non averla mai vista prima e di non essere chi lei afferma che sia, bensì un soldato in missione in Afghanistan. Senza che gli venga in mente nemmeno per un istante che fra andare a fare la guerra per il petrolio in giro per il mondo e parlare amabilmente a quattr'occhi con Michelle Monaghan è preferibile la seconda, si alza per andare in bagno e allo specchio scopre di trovarsi nel corpo di un altro uomo. Sempre più agitato, torna dalla ragazza, prova a spiegarle la situazione e poi, di colpo, insieme a tutti gli altri passeggeri del treno, muore in una gigantesca esplosione. Si risveglia quindi in una strana capsula e scopre che la realtà è ancora più complicata di quei pochi minuti passati sul treno.
Dopo un esordio coi fiocchi, Duncan Jones vola decisamente più basso. Il problema è che in confronto a Moon, questo Source Code sembra essere ancora più ambizioso. Il Source Code, come più volte precisato durante il film, non è tanto un viaggio nel tempo quanto una creazione di una realtà parallela che il protagonista può rivivere solo otto minuti alla volta, eppure, almeno nella prima metà, ho avuto l'impressione di trovarmi fra Ricomincio da capo, Déja-vu e L'esercito delle 12 scimmie, tre ottimi film che con questo hanno ben poco da spartire, a parte alcune peculiarità della trama (ad esempio in Déja-vu Denzel Washington se ne frega di tutti i discorsi e le teorie degli scienziati e decide comunque di provare a salvare la vita della donna di cui si è innamorato, pur sapendo che nella realtà è già morta).
Prima di vederlo ero rimasto deluso dalla durata – novanta minuti per un film del genere mi sembravano pochini -, ma poi ho capito che era un bene: se non sono riusciti a mettere ritmo e suspense in un'ora e mezza, trenta minuti in più sarebbero stati insopportabili.
Non c'è lo stile particolare e ipnotico di Moon, non c'è originalità: abbiamo Gyllenhaal che se ne va in giro sul treno e che per trovare l'attentatore accusa gente a caso prendendola a pugni in faccia. Il primo perché è arabo, il secondo perché ha la barba, il terzo perché lo ha guardato male per mezzo secondo... Insomma, uno si aspetterebbe di più. Anche la trama è particolarmente debole, basata su situazioni già viste decine e decine di volte, e il regista non si preoccupa minimamente di dare una credibilità a quello che succede e al modo in cui il personaggio di Gyllenhaal interviene su questa specie di realtà parallela.
Come se non bastasse, alla fine c'è pure spazio per un po' di immancabile patriottismo, con tanto di bandiere, propaganda e retorica militare.
Sul finale non dico niente per non rovinare la “sorpresa”.
In fin dei conti, l'unica sequenza che vale la pena ricordare è quella dei titoli di testa, che fanno pensare ai thriller vecchia scuola à la Hitchcock, che in confronto a questo film di Bowie Jr. danno davvero l'idea di essere stati realizzati in una realtà parallela.

mercoledì 27 aprile 2011

Tucker & Dale vs Evil


Di Eli Craig, 2010 (Canada)
Con Tyler Labine, Alan Tudyk, Katrina Bowden, Jesse Moss
Scritto da Eli Craig, Morgan Jurgenson
Montaggio di Bridget Durnford
Fotografia di David Geddes
Musiche di Natasha Duprey, Andrew Kaiser
Durata: 89 min.

Tucker e Dale sono appena arrivati nella loro nuova casa di vacanza, una specie di capanno abbandonato in mezzo ai boschi che dopo quache lavoretto diventa più che accogliente. Una sera, occupati come sempre a pescare e bere birra, salvano la vita a una ragazza che cadendo in acqua batte la testa e perde conoscenza, ma il loro soccorso verrà scambiato dagli amici di lei come un tentativo di rapimento, e da quel momento Tucker e Dale dovranno difendersi dagli attacchi di un gruppo di universitari convinti che siano due maniaci assassini.
La trama e i meccanismi del film sono semplicissimi: partendo da pellicole come Non aprite quella porta e Venerdì 13, Eli Craig gioca abilmente con tutti gli stereotipi del genere. Quelli che in un classico film horror sarebbero i “cattivi”, diventano qui le vittime di un assurdo fraintendimento, mentre il gruppo di innocenti ed ignari ragazzi in vacanza si trasforma in una banda di torturatori assassini. In questo film il tizio che corre con la motosega non vuole uccidere nessuno, e Tucker e Dale che sorpassano su un losco pick-up la jeep degli studenti guardandoli in modo apparentemente minaccioso, sono in realtà semplicemente strafatti di birra. Ogni situazione già vista e rivista negli slasher movies viene completamente ribaltata, offrendo anche qualche spunto (senza troppe pretese) per riflettere su quanto sia sbagliato basarsi sui pregiudizi.
Certo, alcune scene possono essere considerate banali e prevedibili, ma il livello generale è comunque alto, e si ride di gusto. Notevoli anche la messa in scena e la recitazione, che rimediano senza problemi allo scarsissimo budget a disposizione.
Malgrado gli ottimi riscontri del pubblico (poco) e della critica, il film non ha ancora avuto una distribuzione vera e propria, e una eventuale uscita in Italia è quindi ancora più improbabile.

lunedì 25 aprile 2011

Il cameraman e l'assassino


C'est arrivé près de chez vous
Di Benoît Poelvoorde, Rémy Belvaux, André Bonzel, 1992 (Belgio)
Con Benoît Poelvoorde, Rémy Belvaux, André Bonzel
Scritto da Benoît Poelvoorde, Rémy Belvaux, André Bonzel, Vincent Tavier
Montaggio di Rémy Belvaux, Eric Dardill
Fotografia di André Bonzel
Musiche di Jean-Marc Chenut, Laurence Dufrene, Philippe Malempré
Durata: 95 min.

Ben è un serial killer costantemente seguito da una troupe televisiva intenta a girare un documentario sulla sua vita. Fra un'uccisione e l'altra Ben parla a ruota libera di filosofia, musica, arte, razzismo, società e altri argomenti vari. Il cameraman e gli altri due tecnici superano i timori iniziali e finiscono addirittura per aiutarlo e “divertirsi” insieme a lui. Quando si renderanno conto di aver oltrepassato il limite, sarà troppo tardi.
Finto documentario in bianco e nero, conosciutissimo sia in Belgio che in Francia, C'est arrivé près de chez vous (“è successo vicino a casa vostra” - ennesima traduzione che non tiene minimamente conto del significato del titolo originale) è un atto d'accusa sia contro i media che contro gli spettatori che inevitabilmente ne diventano complici. Parte quasi fosse una commedia, con un Poelvoorde scatenato, per poi rivelarsi in tutta la sua estrema e disturbante violenza, presentata come una cosa normale. Ben se la prende con le minoranze, con le donne, i bambini, e anche con i suoi stessi amici, e più lui uccide più i giornalisti che lo seguono si sentono in dovere di filmarne ogni azione, ogni pensiero.
Ma se al posto di Ben si mettessero ad esempio le guerre o alcuni fatti di cronaca e il modo in cui vengono presentati in televisione o sui giornali, si otterrebbe esattamente lo stesso risultato. L'importante è vedere, e quindi avere l'impressione di essere aggiornati, informati. Un culto dell'informazione che non è altro che puro consumismo. Un'illusione.
Provocatorio, violento, grottesco, ha forse il difetto di essere a tratti leggermente ripetitivo, ma vale sicuramente la pena di essere visto.

lunedì 18 aprile 2011

Punch-Drunk Love - Ubriaco d'amore


Punch-Drunk Love
Di Paul Thomas Anderson, 2002 (USA)
Con Adam Sandler, Emily Watson, Luis Guzmán, Philip Seymour Hoffman
Scritto da Paul Thomas Anderson
Montaggio di Leslie Jones
Fotografia di Robert Elswit
Musiche di Jon Brion
Durata: 95 min.

Barry Egan è timido, solitario, si veste di blu, dirige una piccola azienda di scopini per water, sturalavandini e altri accessori, e ha sette sorelle assillanti che non la smettono di prenderlo in giro e di volersi prendere cura di lui. La sua principale occupazione è però quella di approfittare di un errore di marketing della Healthy Choice, un'azienda di surgelati che regala miglia aeree gratuite in cambio dei punti contenuti nelle confezioni dei propri prodotti. Barry ha infatto calcolato che il valore delle miglia offerte è di gran lunga superiore ai soldi necessari per raccogliere i punti, e passa quindi il tempo a collezionare pudding surgelato, che è il prodotto col maggior numero di buoni. Questo particolare del film è tra l'altro basato sulla vera storia di David Phillips, un professore universitario che continua a volare gratis da anni.
Ad ogni modo, un mattino come un altro, recandosi al lavoro, la sua ruotine viene scossa da uno strano incidente automobilistico (a cui assiste ma in cui non rimane coinvolto – quello in cui rimane coinvolto arriverà dopo), dal ritrovamento casuale di un armonium e, soprattutto, dall'incontro con la spaesata Lena. Quella stessa sera, in una cena con tutte le sorelle e i rispettivi mariti, Barry ha uno dei suoi frequenti scatti d'ira e spacca la vetrata del salone, provocando lo sdegno di tutti i presenti che incominciano ad insultarlo e a dargli del maniaco.
Inizia così una delle storie d'amore più singolari, sincere e romantiche degli ultimi anni di cinema, a metà fra la commedia e il drammatico ma comunque sempre leggera e senza pretese, e che malgrado la presenza di scene surreali e ambigue risulta ben più realistica della maggior parte delle pellicole sentimentali che mi sia capitato di vedere, e da cui Anderson decide di allontanarsi nettamente. Non ci sono i soliti clichés del genere, e i personaggi sono vittime di emozioni comuni che normalmente non vengono prese in considerazione. La struttura del film è atipica, apparentemente senza regole. È Barry a dettare i tempi, con la sua impulsività e il suo lasciarsi trasportare da una nuova passione che gli ha già cambiato la vita.
Punch-Drunk Love scorre veloce, sostenuto da dialoghi brevi e vivaci e da una colonna sonora incalzante che, a costo di sembrare esagerata e fuori luogo, contribuisce efficacemente all'atmosfera generale, in particolar modo a quella della prima parte, in cui le sensazioni di ansia ed inadeguatezza provate da Barry vengono trasmesse direttamente allo spettatore. Ed è per questo che il primo bacio fra i due innamorati, in una delle scene più belle del film, rappresenta una sorta di liberazione non solo per Barry, ma anche per chi guarda e spera che Lena possa davvero essere la soluzione a tutti i problemi del protagonista.
Reputato come un film minore di Anderson, a me piace considerarlo come uno dei suoi più importanti. Un piccolo capolavoro energico ed irrazionale in cui tutto è perfetto.

domenica 17 aprile 2011

Eraserhead


Di David Lynch, 1977 (USA)
Con Jack Nance, Charlotte Stewart, Judith Roberts, Laurel Near, Jack Fish
Scritto da David Lynch
Montaggio di David Lynch
Fotografia di Herbert Cardwell, Frederick Elmes
Musiche di David Lynch
Durata: 85 min.

In una città industriale grigia e semideserta, Henry viene invitato a cena da Mary X, una donna che non vedeva da tempo e che ora, come se la loro relazione non si fosse mai interrotta, intende fargli conoscere i suoi genitori. Dopo questa tragica e surreale scena, fra polli che ritornano in vita e brevi crisi epilettiche, scopriamo che Mary ha appena avuto un figlio, e che probabilmente non si tratta di un essere umano.
Un esordio sperimentale e surreale fra sogno (incubo) e realtà, e che contiene una buona parte di quelle che saranno le principali ossessioni della filmografia di Lynch, che qui, nonostante le atmosfere tristi, allucinate e disturbanti, riesce già a distinguersi per un'eleganza visiva fuori dal comune.
La testa di Henry usata per ricavarne gommini per matite, l'uomo del pianeta che controlla gli eventi azionando strane leve, la donna che vive nel termosifone cantando che “in paradiso è tutto bellissimo”, ambientazioni cupe, pochi dialoghi, inquietanti rumori di fondo che sembrano non smettere mai, angoscia, oppressione, ogni particolare contribuisce ad inquietare e disorientare lo spettatore. Ma il genio della pellicola risiede proprio nel fatto che non ci si chiede mai se quello che si sta vedendo abbia un senso, come in Strade perdute o Mulholland Dr., l'importante è farsi coinvolgere dalla bravura di un regista in grado di girare un film praticamente perfetto puntando unicamente sull'originalità e sulla perfezione stilistica. Le immagini, pur non essendo assolutamente leggere (impressionanti gli effetti usati per la creatura) riescono comunque a risultare affascinanti. Difficile da definire e probabilmente impossibile da spiegare, per me è un capolavoro imperdibile.

mercoledì 13 aprile 2011

Scott Pilgrim vs. the world


Di Edgar Wright, 2010 (USA, UK, Canada)
Con Michael Cera, Mary Elizabeth Winstead, Ellen Wong, Kieran Culkin, Chris Evans, Brandon Routh, Jason Schwartzman
Scritto da Edgar Wright, Michael Bacall, tratto dal fumetto di Bryan Lee O'Malley
Montaggio di Jonathan Amos, Paul Machliss
Fotografia di Bill Pope
Musiche di Nigel Godrich
Durata: 112 min.

Scott Pilgrim, bassista dei Sex Bob-Omb, dopo un anno passato in “lutto” per essere stato lasciato da E***, sembra aver trovato un nuovo equilibrio grazie a Knives, giovane liceale diventata in pochi giorni fan della sua band. Ad interrompere questa calma apparente ci penserà Ramona, una misteriosa ragazza cui Scott non saprà resistere. Il problema è che per conquistarla dovrà sconfiggere la confraternita dei suoi sette temibili ex in improbabili e fantasiosi duelli mortali.
Scott Pilgrim vs. the world inizia con i titoli di testa più belli che mi sia capitato di vedere ultimamente, insieme ovviamente a quelli di Enter the Void, e che in parte fanno già capire a che tipo di prodotto sia necessario prepararsi: un fumettone di quasi due ore infarcito di assurde citazione videoludiche, cinematografiche e musicali, che passa senza problemi dalla commedia sentimentale al fantasy d'azione. Grazie a un montaggio preciso e veloce molto simile a quello dei due precedenti lavori di Wright, la narrazione si sposta da un luogo all'altro (e dal sogno alla realtà) in pochi attimi, e a parte i combattimenti, la maggior parte delle scene dura appena qualche secondo. Ma tutto questo dinamismo non impedisce agli sceneggiatori di approfondire al punto giusto i sentimenti dei protagonisti, in particolare di Scott Pilgrim, rendendo così il film molto più serio di quanto non possa sembrare. Perché malgrado l'atmosfera sia nell'insieme decisamente ottimista, spensierata e a volte anche demenziale, si affrontano temi delicati come l'amore e la gelosia con la dovuta attenzione, senza cadere in banalità che sarebbe anche lecito aspettarsi da un film inusuale come questo. Anzi, per certi versi il film potrebbe tranquillamente essere inserito nel filone delle nuove commedie sentimentali “alternative” uscite negli ultimi anni (e Cera ne sa qualcosa).
Notevole anche la colonna sonora curata da Nigel Godrich, conosciuto per le sue collaborazioni con Radiohead, Beck (anche lui presente nella colonna sonora con parecchie canzoni inedite scritte per l'occasione), Pavement, Air...
Insomma, nonostante una sceneggiatura difficile che in molti non avrebbero saputo affrontare con la giusta ironia e sfacciataggine, Wright si è dimostrato ancora una volta bravissimo a giocare coi generi.


lunedì 11 aprile 2011

Canzoni del secondo piano


Sånger från andra våningen
Di Roy Andersson, 2000 (Svezia, Norvegia, Danimarca)
Con Lars Nordh, Stefan Larsson, Bengt C.W. Carlsson, Torbjörn Fahlström
Scritto da Roy Andersson
Montaggio di Roy Andersson
Fotografia di István Borbás, Jesper Klevenas, Robert Komarek
Musiche di Benny Andersson
Durata: 98 min.

Un uomo che brucia il suo negozio per ottenere i soldi dell'assicurazione, un tassista annoiato dal lavoro e dalla ripetitività della vita, un ragazzo che si lamenta di essere stato lasciato dalla fidanzata e un altro impazzito a furia di scrivere poesie, e poi ancora uomini d'affari che si flagellano per le strade, un impiegato licenziato dopo trent'anni di lavoro e quattordici consecutivi senza nemmeno un giorno di assenza, il sacrificio di una bambina costretta a tuffarsi bendata da un dirupo, il tutto nell'atmosfera post-apocalittica di una città bloccata da code interminabili.
Personaggi tristi e solitari alla continua ricerca di un qualcosa che non sanno più nemmeno definire, inseriti in numerose scenette tragicomiche che vanno a comporre una critica senza speranze al capitalismo e ai valori della società occidentale, a cui siamo costretti a sottometterci fin dai primi anni della nostra vita. “Abbiamo già sacrificato la nostra gioventù, possiamo fare di più?”, si chiedono nel film. Andersson sembra rispondere di no, descrivendo una società sull'orlo dell'annientamento in cui i rapporti privati fra le persone riflettono quelli di lavoro. Non c'è nessuna differenza fra la moglie che prega il marito di restare a casa con lei e di non andare in ufficio e lo stesso marito che dopo pochi minuti prega il suo capo di non licenziarlo, inginocchiandosi ai suoi piedi. Anche gli ambienti sono estremamente tristi e freddi: palazzi grigi e imponenti, corridoi e interni spogli (comunque ottima la fotografia)... Tutto conduce ad una straziante incomunicabilità senza via d'uscita. Un film triste e surreale che nonostante tutto riesce anche a far sorridere.

domenica 10 aprile 2011

Les biches - Le cerbiatte


Les biches
Di Claude Chabrol, 1968 (Francia, Italia)
Con Stéphane Audran, Jacqueline Sassard, Jean-Louis Trintignant
Scritto da Claude Chabrol, Paul Gégauff
Montaggio di Jacques Gaillard
Musiche di Pierre Jansen
Durata: 100 min

Passeggiando per Parigi Frédérique, ricca e annoiata borghese, conosce Why, una giovane artista senza soldi che si guadagna da vivere dipingendo sui marciapiedi. Con la scusa di un caffè, la porta nel proprio appartamento e finisce per sedurla. Dopo qualche giorno andranno nella villa di Frédérique a St. Tropez, dove conosceranno Paul, un architetto che si inserirà bruscamente nella loro relazione.
Anche in questo caso Chabrol punta molto sulla psicologia dei personaggi, arrivando ad analizzarne con la solita eleganza le più intime ossessioni e manie. È un film volutamente lento, a volte quasi ipnotico. I personaggi sembrano svogliati, insicuri (anche Frédérique, che nelle prime scene si dimostra spigliata e determinata, diventa poi debole e vittima delle proprie emozioni), si muovono e parlano senza fretta, come in un mondo a parte, e fino all'inevitabile finale si respira un'aria di rinuncia e apatia. Non ci sono il ritmo e la tensione di La femme infidèle o Il tagliagole, eppure il film intrattiene e incuriosisce fino alla fine. Merito dei tre attori principali, in particolare della Audran (all'epoca moglie di Chabrol ed ex moglie di Trintignant, l'architetto del film), della sceneggiatura studiata, di un erotismo costante più suggerito che mostrato, e soprattutto della delicata e perfetta regia.


sabato 9 aprile 2011

La horde



Di Yannick Dahan, Benjamin Rocher, 2009 (Francia)
Con Claude Perron, Jean-Pierre Martins, Eriq Abouaney, Aurélien Recoing
Scritto da Yannick Dahan, Benjamin Rocher, Stéphane Moïssakis, Arnaud Bordas
Montaggio di Dimitri Amar
Fotografia di Julien Meurice
Musiche di Christopher Lennertz
Durata: 90 min.

Dopo l'irruzione in un palazzo della banlieue parigina per vendicare un collega morto, quattro poliziotti si ritrovano a dover affrontare un'orda di zombies affamati. Per sopravvivere si uniranno proprio alle persone che erano andati a cercare.
Malgrado sia ambientato in un milieu tanto caro al cinema francese come la banlieue, in questo caso siamo ben lontani da film come L'odio, e i problemi delle periferie vengono appena accennati. La horde ha anche ben poco in comune con la maggior parte degli horror francesi usciti negli ultimi anni. Qui, oltre alla tensione, c'è spazio anche per il divertimento. Dahan e Rocher mettono in scena novanta minuti di sangue, decapitazioni, scene splatter varie, esplosioni e lunghe scazzottate fra umani e morti viventi, senza stare a preoccuparsi più di tanto di dare un senso alla trama. Del passato dei personaggi viene spiegato poco o nulla, così come delle cause che hanno portato all'invasione di zombies. L'unica cosa che conta è sopravvivere. Film di genere che non si prende minimamente sul serio, caratterizzato da una regia energica e da personaggi e dialoghi stereotipati ma comunque sempre efficaci. Talmente assurdo da risultare accattivante, va semplicemente preso per quello che è.