giovedì 25 novembre 2010

Senza tetto né legge




Sans toit ni loi
Di Agnès Varda, 1985 (Francia)
Con Sandrine Bonnaire, Yolande Moreau, Stéphane Freiss
Scritto da Agnès Varda
Montaggio di Patricia Mazuy, Agnès Varda
Fotografia di Patrick Blossier
Musiche di Joanna Bruzdowicz
Durata: 105 min.


In Francia, un contadino trova sul bordo di una strada il corpo congelato di una giovane ragazza. L'intero film è composto da flashbacks che ricostruiscono i suoi ultimi giorni di vita.

Mona è una giovane ragazza che alla società moderna ha preferito la vita di strada, senza regole, convenzioni o gerarchie. In questo film la Varda decide di non giudicare né la scelta categorica di Mona né il fatto che il decidere di vivere al di fuori di una società imposta comporti per forza di cose più svantaggi che vantaggi, ma grazie ad un toccante realismo preferisce invece limitarsi ad una narrazione concentrata unicamente sul personaggio principale, sul suo modo di essere, sui suoi rapporti con gli altri e sulla sua inevitabile solitudine. Mona è una ragazza schiva, brusca, che si arrangia come può senza però mai lamentarsene, ma è anche disposta a parlare, ridere, ad accettare aiuto dalla gente che incontra. Vivere ai margini della società non la porta comunque ad escludere qualsivoglia rapporto con persone che continuano a farne parte. La giovane ragazza rimarrà però fedele alla sua scelta di vita fino alla fine, fino a quel fosso ai bordi della strada in cui morirà assiderata. 


Ognuno giudicherà la storia narrata in base alle proprie convinzioni, certo è che se una giovane segretaria diplomata con un futuro davanti a sé decide di punto in bianco di lasciarsi tutto alle spalle cambiando drasticamente modo di vivere, qualcosa di sbagliato (non nella sua scelta)deve pur esserci, e le statistiche riguardanti le morti per freddo dei clochards dovrebbero far riflettere maggiormente.
Leone d'oro al Festival di Venezia del 1985, il film funziona anche grazie all'ottima interpretazione di un'allora diciottenne Sandrine Bonnaire, in grado di dare a Mona quella spensierata insofferenza necessaria a renderla più che credibile. Molto efficaci anche gli ambienti, tutti volutamente tristi, scuri e decrepiti.
È un film particolare, semplice e in un certo senso freddo, ma la visione dovrebbe essere utile.

martedì 23 novembre 2010

Mysterious skin




Di Gregg Araki, 2004 (USA, Olanda)
Con Joseph Gordon-Levitt, Brady Corbet, Elisabeth Shue, Michelle Trachtenberg
Scritto da Gregg Araki, Scott Heim (romanzo)
Montaggio di Gregg Araki
Fotografia di Steve Gainer
Musiche di Harold Budd, Robin Guthrie
Durata: 105 min.


Nell'estate del 1981 la vita di due bambini viene irrimediabilmente segnata: il primo subisce apparentemente senza rifiutarle le molestie del suo professore di ginnastica, il secondo sembrerebbe essere stato rapito dagli alieni. I due svilupperanno un carattere estremamente diverso fra loro, assimilando le relative esperienze in modo opposto: chi in modo aggressivo, chi rifiutando di ricordare.

Pur essendo un film estremamente duro e toccante, Mysterious Skin si fa notare per la particolarità di una narrazione diretta e delicatamente sincera, a volte addirittura surreale. Non è facile trattare di temi come la pedofilia senza banalità o eccessi, ma Araki riesce a dosare alla perfezione ogni aspetto della trama costruendo un prodotto solido ed efficace, senza pause o debolezze. Le peculiarità stilistiche del film (evidenti soprattutto nella scena iniziale o nel “rapimento alieno”) si riflettono sui personaggi, sui dialoghi e sugli intrecci di una storia semplice quanto drammatica. La ricerca della verità da parte di uno dei due ragazzi (dopo i primi minuti di film la narrazione si sposta avanti di sette anni) e la violenta accettazione delle molestie subìte dal professore di ginnastica da parte dell'altro, sono analizzate nei dettagli, e infine destinate ad incrociarsi completandosi a vicenda.


Il film vale la pena di essere visto anche per le interpretazioni degli attori. Il ruolo più difficile è ovviamente quello di Gordon-Levitt, ma l'intero cast si dimostra pienamente all'altezza.
La bellezza visiva e il modo in cui viene trattata la storia fanno di Mysterious Skin un ottimo film che avrebbe sicuramente meritato molta più attenzione. Pur essendo decisamente impegnativo e con alcune scene davvero forti, riesce a sprigionare un senso di leggerezza e poesia che non ci si aspetterebbe da un film del genere.

sabato 20 novembre 2010

Stranger than Paradise




Di Jim Jarmusch, 1984 (USA)
Con John Lurie, Eszter Balint, Richard Edson
Scritto da Jim Jarmusch
Montaggio di Jim Jarmusch, Melody London
Fotografia di Tom DiCillo
Musiche di John Lurie
Durata: 89 min.


Eva è appena arrivata negli Stati Uniti dall'Ungheria per andare a Cleveland a trovare sua zia, che però dovrà essere ricoverata in ospedale per una decina di giorni. Nel frattempo dovrà quindi fermarsi da Willie, un cugino di New York non troppo contento del nuovo arrivo. I due, insieme a Eddie, un amico di Willie, vivranno una serie di singolari avventure.

Progettato per essere un corto di trenta minuti, Jarmusch alla fine si è (fortunatamente)visto costretto a farne un lungometraggio diviso in tre capitoli, ognuno situato in una città diversa: il primo a New York, il secondo a Cleveland e il terzo in Florida. Ogni scena del film è composta da una singola inquadratura della durata di qualche minuto (a volte anche meno), seguita poi da qualche secondo di schermo nero. 

 
Questa sorta di minimalismo della regia tanto caro a Jarmusch serve a dare a Stranger than Paradise quel tono di romantico realismo che caratterizzerà in seguito la maggior parte dei suoi lavori.
L'anticonvenzionale regista americano preferisce infatti concentrarsi sui personaggi, sui dialoghi e sui silenzi, e avvalendosi delle lunghe inquadrature senza montaggio riesce così a catturare nei suoi attori quelle smorfie o quei gesti che ne rendono così veritiera la recitazione. I protagonisti dei suoi fim sono spesso dei perdenti, dei reietti, oppure dei solitari, quasi sempre tratteggiati in modo romantico, umano, quasi tenero. Ci si affeziona ai suoi personaggi proprio per via del realismo con cui vengono dipinti.
In questo caso ci troviamo di fronte ad una storia semplice quanto singolare; il continuo viaggiare di Willie ed Eddie, spesso accompagnati dalla cugina Eva (sempre che non decidano di lasciarla da sola per andare a scommettere sulle corse dei cavalli), le incomprensioni, l'alternarsi di momenti felici ad altri decisamente più malinconici e poi... “Tutto qui, non c'è altro” - sembra dire Jarmusch alla fine del film - “questa era la mia storia, spero che vi sia piaciuta.”
Incantevole.

venerdì 19 novembre 2010

Eternal sunshine of the spotless mind




Di Michel Gondry, 2004 (USA)
Con Jim Carrey, Kate Winslet, Tom Wilkinson, Kirsten Dunst, Mark Ruffalo, Elijah Wood
Scritto da Pierre Bismuth, Charlie Kaufman, Michel Gondry
Montaggio di Valdis Oskarsdottir
Fotografia di Ellen Kuras
Musiche di Jon Brion
Durata: 108 min.


Clementine decide di rivolgersi alla Lacuna Inc. per cancellare dalla sua mente tutti i ricordi legati al suo ex fidanzato Joel, da cui si è appena separata dopo una lunga serie di litigi. Quando Joel ne viene a conoscenza, dopo un periodo di depressione decide di fare lo stesso coi ricordi di Clementine. Ma è davvero quello che vuole?

La trama inusuale di Eternal Sunshine of the Spotless Mind (che qualcuno ha deciso di introdurre nel mercato italiano col titolo Se mi lasci ti cancello)avrebbe potuto essere trattata in molti modi; viene da dire che Gondry – col prezioso aiuto di Kaufman – abbia deciso di farlo nel migliore possibile.
La caratteristica principale del film risiede nel fatto che il visionario regista francese, anziché limitarsi ad un'analisi esterna ed oggettiva della trama, decide di entrare letteralmente nella mente di Joel mostrandoci le interpretazioni soggettive e personali dei suoi ricordi. Gondry, grazie ad una maestria tecnica impressionante, li mischia fra loro come in una lunga serie di flashbacks che svelano man mano i vari risvolti della relazione amorosa dei due protagonisti, fra appuntamenti romantici e litigi, momenti di passione oppure silenzi imbarazzanti; insomma, tutte quelle situazioni tipiche in cui ognuno di noi un giorno si è ritrovato. Ed è proprio questo l'altro punta di forza del film: risulta impossibile allo spettatore non immedesimarsi o riconoscersi in almeno una delle scene proposte.

 
Da notare anche il fatto che i “giochi visivi” a cui il regista può dare libero sfogo proprio grazie alla particolarità della sceneggiatura (quello che vediamo per buona parte del film in effetti altro non è che un insieme di ricordi sparsi e frammentari), non risultano mai di troppo, ma si adattano perfettamente allo svolgersi della storia – che può essere facilmente ricostruita pezzo per pezzo senza lasciare nessun dubbio narrativo. Insomma, alla fine tutto torna e ogni eventuale confusione viene poi chiarita.
Questo è uno di quei classici film in cui tutto gira alla perfezione, quindi non c'è da stupirsi se anche gli attori (il cast è comunque notevole) danno il meglio di sé, risultando tutti adatti al proprio ruolo.
Davvero un capolavoro, da vedere e rivedere.

giovedì 18 novembre 2010

Il segreto dei suoi occhi



El secreto de sus ojos
Di Juan José Campanella, 2009 (Argentina, Spagna)
Con Ricardo Darín, Soledad Villamil, Pablo Rago, Guillermo Francella
Scritto da Juan José Campanella, Eduardo Sacheri
Montaggio di Juan José Campanella
Fotografia di Félix Monti
Musiche di Federico Jusid, Emilio Kauderer
Durata: 129 min.

Benjamín Espósito, un ex funzionario giudiziario ormai in pensione, decide di scrivere un libro sul vecchio caso di una ragazza misteriosamente assassinata nel proprio appartamento, diventato per lui una vera e propria ossessione, e in venticinque anni mai dimenticato. Rimettere insieme I vari ricordi del passato lo porterà a nuove verità.

Vincitore di numerosi premi, fra cui l'Oscar al miglior film straniero del 2009, Il segreto dei suoi occhi conquista lo spettatore grazie alla sua travolgente forza narrativa. Il regista argentino, basandosi sul libro di Eduardo Sacheri, mette in piedi un dramma teso e romantico al tempo stesso, senza mai scadere nel banale o in facili sentimentalismi.
La storia di Benjamín Espósito, spinto da una sorta di dovere morale ad approfondire la tragica storia dello stupro e dell'omicidio di Liliana Coloto, avvenuto più di venticinque anni prima, è trattata in modo toccante e diretto. 

 
Come spesso è capitato di vedere nei film sudamericani degli ultimi anni (vengono in mente ad esempio Cuarón e Iñárritu), ai personaggi viene data una dimensione intima e profonda capace di avvicinarli maggiormente al pubblico; l'assistente di Esposito, Irene, il marito della Coloto, lo stesso Benjamín - tutti tratteggiati in maniera impeccabile. Il profondo realismo dei personaggi si avverte ovviamente anche nella narrazione della storia: il dolore dei ricordi, la denuncia sociale, la storia d'amore incompiuta... Tutti gli elementi di questo film, messi insieme, ne fanno un'opera ammirevole, che troverà nel finale in crescendo il suo vero punto di forza.

lunedì 15 novembre 2010

La proposta



The Proposition
Di John Hillcoat, 2005 (Australia, UK)
Con Guy Pearce, Ray Winstone, Danny Huston, Emily Watson
Scritto da Nick Cave
Montaggio di Jon Gregory
Fotografia di Benoît Delhomme
Musiche di Nick Cave, Warren Ellis
Durata: 104 min.


Charlie Burns, membro di una banda di fuorilegge, viene catturato insieme al fratello e messo in prigione dal capitano Stanley. Quest'ultimo, uomo impulsivo e violento, minaccia di uccidere il fratello di Charlie se questi non andrà a catturare il suo secondo fratello, Arthur, capo della banda sfuggito alla cattura e ancora in libertà, nascosto da qualche parte nel deserto.

Potrà risultare strano, ma uno dei più bei western usciti negli ultimi anni è ambientato proprio nell'arido deserto australiano. Scritto da Nick Cave, musicista da sempre coinvolto nel mondo del cinema, e diretto da John Hillcoat, questo è un western atipico la cui visione dovrebbe essere obbligatoria per ogni appassionato del genere.
Il film avanza lento, inesorabile, sostenuto da una regia sapiente e delicata in grado di gestire alla perfezione ogni aspetto della pellicola e di renderne essenziale ogni sfumatura. Merito anche dei personaggi, così soli e sperduti, come alla ricerca di un qualcosa di inafferrabile che difficilmente riusciranno a trovare. Qui non ci sono eroi buoni o cattivi, e Hillcoat e Cave non si concentrano su quella che avrebbe potuto essere una banale lotta tra il “bene” e il “male”, ma decidono di andare oltre dando al film un'impronta più intimista priva di ogni retorica. 

 
Eppure, in tutto questo, c'è anche spazio per una evidente critica al colonialismo inglese, rappresentato qui dal capitano Stanley e dalla sua casetta con tanto di giardinetto curato piazzata in mezzo all'outback australiano, fuori posto, priva di significato.
La proposta è un film crudo e profondo, la cui violenza (tanta) ricorda da vicino quella dei romanzi western di McCarthy a cui si ispira (il seguente film di Hillcoat è The Road, tratto da un altro romanzo – questa volta non western – di McCarthy), senza però mai essere di troppo.
All'ottima regia e alle interpretazioni perfette degli attori principali va aggiunta la pregevole fotografia di Delhomme, oltre che le musiche di Cave (sempre lui) e Warren Ellis. Da vedere.

domenica 14 novembre 2010

Blood Simple - Sangue facile




Blood Simple
Di Joel Coen, Ethan Coen, 1984 (USA)
Con John Getz, Frances McDormand, Dan Hedaya, M. Emmet Walsh
Scritto da Joel Coen, Ethan Coen
Montaggio di Roderick Jaynes, Don Wiegmann, Joel Coen, Ethan Coen
Fotografia di Barry Sonnenfeld
Musiche di Carter Burwell
Durata: 99 min.


Julian, marito geloso ed irascibile, fa seguire la moglie per accertarsi che non lo tradisca. Quando il detective Visser gli porta le prove decide di far uccidere sia la moglie che l'amante. Ovviamente non tutto andrà secondo i piani.

Il primo film dei fratelli Coen (sebbene abbiano sempre prodotto e diretto insieme i loro film, Ethan verrà accreditato alla regia – così come Joel alla produzione – solo a partire da Ladykillers) contiene già gran parte degli elementi tipici del loro cinema: sangue, ironia, situazioni ambigue, malintesi, e anche un po' di tensione.

 
Ciò che davvero sorprende è il fatto che tutti questi elementi siano trattati e dosati come se questa non fosse un'opera prima; evidentemente i due fratelli avevano già le idee chiarissime su quelle che sarebbero state le peculiarità dei loro futuri lavori e su come metterle in scena.
I personaggi vengono coinvolti in una spirale di omicidi e humor nero capace di incuriosire e accattivare lo spettatore, che fino alla fine sarà l'unico a sapere come si sono realmente svolti i fatti.
Da notare anche la fotografia di Sonnenfeld e le prove di tutti gli attori principali che, come capita spesso coi Coen, danno il meglio di sé.
Un piccolo cult.

venerdì 12 novembre 2010

Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?




Di Anthony Ascott (Giuliano Carnimeo), 1972 (Italia)
Con Edwige Fenech, George Hilton, Annabella Incontrera, Oreste Lionello
Scritto da Ernesto Gastaldi
Montaggio di Eugenio Alabiso
Fotografia di Stelvio Massi
Musiche di Bruno Nicolai
Durata: 91 min.

Jennifer, provando a lasciarsi alle spalle un passato che continua tormentarla, si trasferisce con la sua amica Marilyn in un appartamento occupato fino a pochi giorni prima da una ragazza uccisa da un misterioso assassino. Il killer, che sembra agire sempre nello stesso palazzo prendendo di mira unicamente belle donne, inizierà a tormentarle...


All'inizio degli anni '70 non era raro trovarsi di fronte ad ottimi thriller italiani come questo, diventati in seguito dei veri e propri “cult”. La coppia Fenech-Hilton infatti, prima di questo film di Carnimeo, si era già vista anche ne Lo strano vizio della signora Wardh, di Sergio Martino, altro giallo-thriller all'italiana forse persino più bello di questo. È un peccato che questa cultura del cinema di genere sia andata persa, e che nessun regista italiano decida di riproporlo ai giorni nostri.
Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer? contiene tutti gli elementi che gli appassionati del genere maggiormente apprezzano: atmosfere morbose, colori caldi, sangue, qualche brivido e pure un'inaspettata dose di ironia, il tutto gestito con discreta maestria, considerato il budget limitato a disposizione. Da notare anche qualche ottima soluzione visiva, a sottolineare il fatto che da questi film, dal punto di vista tecnico, c'è comunque qualcosa da imparare.
A questo punto ne approfitto per consigliare anche Vestito per uccidere, buon thriller del 1980 diretto da Brian De Palma, che contiene una scena di un assassinio in un ascensore molto simile a quella presente all'inizio della pellicola di Carnimeo.

mercoledì 10 novembre 2010

L'argent




Di Robert Bresson, 1983 (Francia, Svizzera)
Con Christian Patey, Vincent Risterucci, Caroline Lang
Scritto da Robert Bresson
Montaggio di Jean-François Naudon
Fotografia di Pasqualino De Santis, Emmanuel Machuel
Durata: 85 min.

Un ragazzo di famiglia borghese chiede al padre un anticipo sulla paghetta, quando questi glielo rifiuta il giovane si rivolge ad un suo amico che gli regala una banconota falsa da cinquecento franchi; i due decidono quindi di andare in un negozio e comprare una cornice da pochi franchi per intascarsi il resto. La commessa, dapprima reticente, finisce per accettare I soldi. Quando il titolare del negozio si rende conto della truffa, aggiunge altre due banconote false a quella dei due ragazzi e se ne sbarazza usandole per pagare delle fatture ad Yvon, lavoratore innocente che pagherà per tutti.

Bresson saluta la sua carriera da regista con un film decisamente controverso. Il fatto che buona parte del pubblico di Cannes l'abbia fischiato dimostra però come il regista francese abbia probabilmente centrato in pieno il suo obbiettivo. L'Argent non è un film facile da vedere: la recitazione è praticamente – e volutamente – assente, le battute dette e non recitate, le scene importanti suggerite e mai mostrate. In questo caso ciò che davvero conta, per Bresson, è il messaggio, ovvero una pesante critica a una società sempre più basata sui soldi. Il denaro corrompe, e non potrebbe essere altrimenti. A questo proposito è emblematica la scena in cui il titolare del negozio ricompensa il giovane commesso per aver testimoniato il falso, decretando così la condanna di Yvon. 


I soldi falsi finiscono nelle tasche di chi non ne ha neanche di veri, i colpevoli rimangono impuniti, e alla fine di tutto gli unici a rimetterci sono proprio i poveri, vittime di un sistema (economico) destinato per definizione a rimanere ingiusto.
Nel film tutte le azioni dei protagonisti sono dettate dai soldi, e la mancanza quasi totale di una recitazione “classica” e di espressività degli attori, nello specifico caso di Bresson, rende il messaggio della pellicola ancora più diretto, sottolineando proprio come l'uomo possa essere manipolato e alienato dal denaro, rendendolo capace delle peggiori azioni.
L'argent è un film minimalista, pessimista e sicuramente anticonvenzionale; sta allo spettatore decidere se queste qualità debbano essere considerate positive o negative. Personalmente penso che valga la visione, se non altro per il suo significato.

lunedì 8 novembre 2010

Omicidio in diretta




Snake Eyes
Di Brian De Palma, 1998 (USA)
Con Nicolas Cage, Gary Sinise, Carla Cugino, Kevin Dunn
Scritto da David Koepp e Brian De Palma
Montaggio di Bill Pankow
Fotografia di Stephen H. Burum
Musiche di Ryûichi Sakamoto         
Durata: 98 min.


In occasione di un importante incontro di pugilato al casinò di Atlantic City, il Ministro della Difesa statunitense viene assassinato. Un poliziotto corrotto presente sul posto inizia ad indagare...

Spesso stroncato sia dalla critica che dal pubblico, questo film è un esercizio di stile impressionante. De Palma si è sempre distinto per il modo in cui usa la macchina da presa, rendendola la prima vera protagonista dei propri film; basti pensare al piano sequenza all'inizio di Carrie – Lo sguardo di Satana o agli ultimi quindici minuti di Carlito's Way. Insomma, gioia per gli occhi. Ma in questo caso De Palma, costruendosi il proprio “giocattolo” e ambientandolo in un unico posto (il casinò), mette in secondo piano la trama e si concentra unicamente sul modo di rappresentarla, giocando con le immagini per più di un'ora e mezza di pellicola.


I personaggi, i dialoghi e le varie situazioni che si presentano sono al completo servizio di una camera sempre in movimento a seguire gli attori se non addirittura a sostituirsi a loro. I primi dodici minuti di film (apparentemente senza tagli, benché ve ne siano ben otto) varrebbero da soli una nomination agli Oscar che – non dimentichiamolo – De Palma non ha mai ottenuto. Ovviamente il fatto di non essere mai stato candidato al premio come miglior regista per film come Carlito's Way, Gli Intoccabili, Scarface o Carrie – film nel complesso ben superiori a Omicidio in Diretta – non lasciava molte speranze a questo suo lavoro, che però vale comunque ben più di una visione. Sempre teso e ben ritmato, le lacune della storia vengono ampiamente compensate dalla tecnica del regista, qui davvero in forma.

domenica 7 novembre 2010

Cría cuervos





Di Carlos Saura, 1976 (Spagna)
Con Geraldine Chaplin, Florinda Chico, Ana Torrent, Mònica Randall
Scritto da Carlos Saura
Montaggio di Pablo Gonzàlez del Amo
Fotografia di Teodoro Escamilla
Musiche di Federico Mompou
Durata: 110 min.

Ana ripensa alla sua infanzia e a quella delle sue sorelle, segnate prima dalla morte della madre e in seguito da quella del padre, ufficiale franchista ritenuto dalle bambine il vero colpevole delle sofferenze della donna. Fra ricordi e sogni la piccola continuerà a crescere, rimanendo però affascinata dal tema della morte.

Delicato e intenso, questo film di Saura descrive i momenti più intimi e caratteristici dell'infanzia della protagonista, e lo fa senza moralismi o censure, ma presentandoci le cose come stanno, con dolcezza e sincerità. Il mondo di Ana, rappresentato dai ricordi della madre e dai giochi con le sorelle (bellissima la scena in cui le bambine ricostruiscono giocando alcune scene di vita famigliare) risulta quindi perfettamente credibile.


Al film vanno anche attribuiti importanti riferimenti politici: uscì nelle sale appena un anno dopo la morte di Franco (ancora vivo nel film), e nei comportamenti (e ruoli)dei vari membri della famiglia si possono leggere critiche alla repressione perpetuata dal regime. Ma non è vero – come mi è capitato di leggere in alcune recensioni – che il film possa essere apprezzato e capito solo da chi conosca alla perfezione i vari meccanismi della società spagnola dell'epoca. Anzi, la bravura di Saura risiede proprio nel rendere la pellicola accessibile a chiunque, anche a chi, come me, non sia portato dalle proprie esperienze a considerare l'intera opera come una metafora della Spagna di quegli anni, ma più che altro come una semplice storia di vita, dura, tenera, ma soprattutto vera.

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto





Di Elio Petri, 1970 (Italia)
Con Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Sergio Tramonti, Salvo Randone
Scritto da Elio Petri e Ugo Pirro
Montaggio di Ruggero Mastroianni
Fotografia di Luigi Kuveiller
Musiche di Ennio Morricone
Durata: 112 min.

Lo stesso giorno in cui verrà promosso all'ufficio politico, l'ispettore capo della squadra omicidi interpretato da Gian Maria Volonté uccide l'amante in un gioco erotico. Mantenendo la calma, decide di rimanere nell'appartamento della donna per farsi una doccia e lasciare un po' ovunque le tracce del suo passaggio: tocca bottiglie e bicchieri, strappa un filo della propria cravatta per metterlo nelle unghie della vittima e ruba infine due bottiglie di spumante che porterà con sé in ufficio per festeggiare la promozione coi colleghi. Volendo dimostrare di essere effettivamente al di sopra di ogni sospetto, l'ispettore avrà cura di seguire le indagini da vicino, mettendo addirittura gli investigatori sulla buona strada.
Sarà sufficiente per farlo condannare o si ritroverà intrappolato nello stesso sistema che rappresenta e difende?


Il film è ovviamente un attacco al Potere e all'uso che ne viene fatto da parte delle varie istituzioni.
Il personaggio di Volonté vuole garantire la libertà togliendola di fatto ad un popolo che considera “minorenne”, che non vede differenza fra atti criminali e manifestazioni di protesta e che pensa che la civiltà possa essere assicurata unicamente attraverso la repressione. Queste caratteristiche autoritarie e fasciste sono spinte all'estremo, e arrivano a creare un personaggio esagerato, che però rappresenta nel migliore dei modi tutto ciò che il film vuole denunciare.
La prima proiezione avvenne per un pubblico ristretto: Petri e Pirro invitarono Mario Monicelli ed Ettore Scola, che alla fine del film dissero più o meno scherzosamente: “Finirete tutti in prigione!”
All'epoca si temette infatti che la pellicola potesse essere sequestrata prima dell'uscita nelle sale, ma alla fine non ci furono particolari problemi.
L'efficacia narrativa del lavoro di Petri è disarmante: il film arriva dritto al punto, senza sbavature. Bellissimo anche il montaggio, coi flashbacks che analizzano le varie tappe della relazione erotica fra l'ispettore di polizia e la sua amante prima dell'assassinio. A tutto questo vanno aggiunte le musiche di Morricone e la fantastica prova di Volonté. Insomma, un capolavoro!
È triste pensare che un film del genere, fatta eccezione per alcuni riferimenti politici, possa essere considerato più attuale ora di quanto non lo fosse nel 1970.

sabato 6 novembre 2010

Solaris




Solyaris
Di Andrej Tarkovskij, 1972 (Unione Sovietica)
Con Natalya Bondarchuk, Donatas Banionis, Jüri Järvet, Anatoli Solonitsyn
Scritto da Fridrickh Gorenshtein, Andrej Tarkovsij , Stanislaw Lem (romanzo)
Montaggio di Lyudmila Feiginova e Nina Marcus
Fotografia di Vladim Yusov
Musiche di Eduard Artemiev
Durata: 165 min.

Solaris è un misterioso pianeta tenuto sotto osservazione dall'equipaggio di una base spaziale russa. Quando uno dei membri si suicida in circostanze misteriose Kris Kelvin è l'uomo incaricato di prenderne il posto. Una volta arrivato a destinazione incomincerà a rendersi conto degli strani poteri di Solaris, che lo porteranno a incontrare Hari, la moglie morta più di dieci anni prima.

Il primo consiglio è quello di evitare accuratamente l'edizione italiana curata da Dacia Maraini, che decise di "violentare" il film di Tarkovsij accorciandolo di quaranta minuti e proponendo un doppiaggio che nulla aveva a che vedere con lo spirito dell'originale. A quanto pare lo stesso Tarkovskij ne fu decisamente poco contento. Ad ogni modo tale edizione è stata rimpiazzata da quella in DVD del 2002, che ripropone la parte mancante con l'audio russo sottotitolato in italiano.
Il secondo consiglio è ovviamente quello di procurarvi la versione di 165 minuti il più presto possibile, perché di capolavori come questo non se ne vedono spesso. Un film lento, angosciante e profondo, ma anche romantico e umano, perché alla fine è proprio di questo che Tarkovsij vuole parlare: dell'uomo. E lo fa coinvolgendo attivamente lo spettatore, spingendolo a porsi le stesse domande che affascinano e disorientano i membri dell'equipaggio vittime delle illusioni di Solaris. E allora ecco che ogni inquadratura diventa essenziale, e cinque minuti senza dialoghi in mezzo al traffico di una "città del futuro" (presenti nella parte censurata della prima edizione italiana) non risultano pesanti o di troppo, ma piacevoli e rilassanti.

 
Insomma, il film risulta quasi impossibile da definire: gli elementi fantascientifici si ricollegano tutti al modo in cui vengono interpretati dall'uomo; è un viaggio verso l'ignoto, ma il primo passo dovrebbe essere quello di conoscere se stessi e i propri simili, perché " noi non vogliamo altri mondi, a noi serve uno specchio [...] All'uomo serve l'uomo".

Non è un film per tutti, e con questo non voglio dire che non tutti sarebbero in grado di vederlo, ma semplicemente che per alcuni il linguaggio cinematografico di Tarkovskij potrebbe risultare fastidioso.
Per quanto mi riguarda è uno dei più bei film che abbia mai avuto il piacere di vedere. Allucinante, completo e affascinante!

Terzo consiglio: guardatevelo da soli, possibilmente di notte, e staccate il telefono in modo che niente e nessuno possa distrarvi.

Prova



Primo post.
Blog prevalentemente cinematografico senza un particolare scopo.
Poche parole.
Forse qualche canzone sparsa.
Ciao.

(Il quadro è di una certa Heather Hurzeler; l'ho appena scoperto sul suo sito)