domenica 26 febbraio 2012

You really shoud see these - Day 1: Zombies



In discreto ritardo, inizio oggi con una piccola serie di tre classifiche dedicate ognuna ad un particolare genere o sottogenere cinematografico.
È un'idea di Elio, a cui vanno i miei complimenti per l'iniziativa e anche qualche moderato insulto per aver limitato a sette il numero di film da inserire.
C'è anche un piccolo regolamento da seguire. Per evitare incomprensioni lo riporto direttamente dal post che ha dato inizio al “You really should see these”:

1) Essendo difficile scegliere un unico genere o filone cinematografico, non lo si farà. Se ne possono scegliere 3, ed ogni giorno sarà dedicato ad un genere diverso.
2) Ogni classifica dovrà contare solo ed esclusivamente 7 pellicole.
3) Il genere dovrà essere introdotto, brevemente o meno, e le scelte dovranno essere giustificate, sì da rendere ulteriormente utili le singole classifiche.

Chiunque dovesse decidere di farlo, oltre a rispettare le regole appena scritte, dovrà semplicemente riportare l'identificativa e fantastica immagine ad inizio post.



Ecco, a proposito di questa utilità delle classifiche, io dico da subito che i tre generi che ho scelto sono molto comuni e non penso di essere andato a pescare chissà quali introvabili perle nascoste. Ad ogni modo, siccome stilare classifiche di questo tipo mi diverte non poco, spero che possa risultare altrettanto divertente per voi leggerle e magari consigliare quelli che per voi sono i film imperdibili dei tre generi scelti. Inutile precisarlo, ma siete liberissimi di continuare questa iniziativa anche sul vostro blog.

Inizio con una piccola classifica dei film di zombies, creature che mi stanno particolarmente simpatiche sia quando vengono usate per una critica sociale che quando servono esclusivamente a mettere in scena splatter, tensione o umorismo. Come se non bastasse, la loro comparsa è spesso legata ad una forte componente post apocalittica, e ciò me li fa amare ancora di più. Non è un genere che ha bisogno di particolari presentazioni, quindi mi limito a precisare che per questa classifica ho preso in considerazione unicamente i morti viventi “classici”, scartando infetti di vario tipo, armate di scheletri e compagnia bella.
Quindi, senza nessuna pretesa, ecco i sette zombie movies che ho preferito o che secondo me andrebbero obbligatoriamente visti:


7. White Zombie (Victor Halperin, 1932)
Madeleine arriva ad Haiti per sposarsi con Neil, ma Charles Beaumont, ricco proprietario terriero del posto, vuole impedire il matrimonio. Si rivolge quindi a Murder Legendre, uno stregone voodoo che trasformerà Madeleine in una schiava zombie. È presente in questa classifica più che altro per il fatto che viene considerato come il primo film dedicato interamente alla figura del morto vivente. Se si esclude uno spassoso Lugosi, la recitazione è alquanto bruttina e i dialoghi sicuramente dimenticabili, ma qualche battuta mitica qua e là e la tetra atmosfera lo rendono comunque un piccolo film imperdibile.



6. Dimensione Terrore (Fred Dekker, 1986)
What is this? A homicide, or a bad B-movie?
Irresistibile omaggio ai vecchi film fanta-horror di serie b, Night of the Creeps parte con una prima scena su un'astronave aliena a cui fanno seguito una decina di minuti in un suggestivo bianco e nero ambientati negli anni '50. Infine, dopo un salto temporale di una trentina d'anni, si inizia con la storia vera e propria. I morti viventi però non vengono dall'inferno, da uno strano virus o da riti voodoo, bensì dai parassiti presenti sull'astronave della prima scena. Ottima sceneggiatura, dialoghi divertenti, ritmo sostenuto, alieni e zombies: non potevo non inserirlo in questa classifica.



5. Dead Set (Yann Demange, 2008)
Non è un film, ma una miniserie di cinque puntate, eppure, proprio a causa della sua durata contenuta (140 minuti), ho deciso di inserirla comunque nella lista. I protagonisti principali sono i concorrenti del Grande Fratello inglese e un'assistente dello studio televisivo che lo produce. L'invasione, veloce e violenta, non lascia scampo, e i pochi sopravvissuti dovranno trovare un modo di resistere il più a lungo possibile. Ironico, violento e disperato, sorprende per l'abilità nel gestire in modo intelligente situazioni estreme e personaggi stereotipati.



4. Shaun of the Dead (Edgar Wright, 2004)
Anche in questo caso la trama non presenta nulla di nuovo, ma nuovo (in parte) è il modo in cui viene trattata. L'invasione di zombies diventa qui una divertentissima commedia demenziale che riprende le situazioni più classiche del genere senza limitarsi ad omaggiarle o a parodiarle, ma mettendo in scena uno dei film di zombies più originali che mi sia capitato di vedere. Le scene culto si sprecano e citarne una a caso non avrebbe senso. Ma insomma, lo conoscete tutti.



3. …E tu vivrai nel terrore! L'Aldilà (Lucio Fulci, 1981)
Una giovane donna di New York, Liza Merril, eredita un hotel abbandonato in Louisiana. Decide di ristrutturarlo ed iniziare una nuova attività, inconsapevole del fatto che l'albergo si trova esattamente su una delle sette porte dell'Inferno. I lavori di ristrutturazione l'apriranno, e le conseguenze saranno disastrose.
Questa volta i morti viventi non agiscono da soli ma in compagnia di ragni, fantasmi ed altre inquietanti manifestazioni paranormali. Film duro e pessimista dall'atmosfera quasi indescrivibile, esageratamente gore e spiazzante, con uno spietato ed indimenticabile finale. Imperdibile.



2. Re-Animator (Stuart Gordon, 1985)
Dan, un promettente studente di medicina, si ritrova coinvolto nei bizzarri e macabri esperimenti del suo nuovo coinquilino Herbert West. Quando Herbert scoprirà un modo per rianimare i cadaveri testando una nuova sostanza sul gatto morto di Dan, inizierà una lunga serie di incidenti dagli imprevedibili risvolti.
È il terzo film di questa lista ad essere caratterizzato da un'importante componente comica, ed è anche il più splatter dei tre. La prima volta che lo vidi fu amore a prima vista, e rivederlo è sempre un piacere.



1. Dawn of the Dead (George A. Romero, 1978)
Ne approfitto per precisare che la quarta regola che mi sono imposto per queste classifiche, è quella di non inserire più di un film dello stesso regista, altrimenti, in questo caso, le prime tre posizioni sarebbero state occupate unicamente dal maestro indiscusso del genere. Probabilmente anche una quarta, se si considera il sottovalutatissimo Diary of the Dead. Quindi, pur avendo messo il titolo del capitolo di mezzo della vecchia trilogia, fate conto che siano presenti anche il primo La notte dei morti viventi e il terzo Il giorno degli zombi, entrambi magnifici ed imperdibili capolavori. Tutto nasce da qui.

mercoledì 15 febbraio 2012

Pour elle - The next three days




















 
Pour Elle
Di Fred Cavayé, 2008 (Francia), 96 min.
Con Vincent Lindon, Diane Kruger
Scritto da Guillaume Lemans, Fred Cavayé

The Next Three Days
Di Paul Haggis, 2010 (USA, Francia), 133 min.
Con Russell Crowe, Elizabeth Banks, Olivia Wilde
Scritto da Paul Haggis, tratto dalla sceneggiatura di Guillaume Lemans, Fred Cavayé

Una mattina come tante; lui è un professore, lei impiegata in un ufficio. Fanno colazione, parlano del più e del meno e si preparano ad uscire per accompagnare il figlio a scuola e recarsi al lavoro. A quel punto lei si rende conto della macchia di sangue sul suo cappotto. Prova a lavarla via ma non fa in tempo, la polizia è già lì, irrompe nell'appartamento e la porta via con la forza davanti a marito e figlio impotenti. Accusata di omicidio, viene rinchiusa in carcere e condannata a più di vent'anni.
Dopo tre anni di inutili appelli, lui decide di prendere in considerazione l'unica possibilità rimasta: l'evasione.
La trama è la stessa in entrambi i film. Il primo è quello francese del 2008, il secondo è il remake americano di Haggis, prodotto appena due anni dopo.

Quello che Cavayé e Haggis intendono girare è un semplice thriller, niente di particolarmente impegnato o pretenzioso. La denuncia, ammesso che ci sia, non è esplicita, ma solo in parte suggerita.
A me però piace vederla e quindo lo dico subito: con questi due film mi sono divertito perché viene messa in scena (ammesso che fossero davvero quelle le intenzioni) la lotta del singolo contro istituzioni e Potere, e il voto relativamente alto che mi è venuto da dare al film di Haggis è dovuto principalmente a questo fattore.
E ora va detta un'altra cosa: questo, mi dispiace ammetterlo, è uno dei pochi casi in cui il remake si rivela decisamente più riuscito dell'originale.
La differenza più importante riguarda sicuramente la durata. Quaranta minuti in più permettono alla produzione statunitense di insistere maggiormente su certi aspetti e di rendere quindi più coinvolgente la parte finale della pellicola, molto più articolata rispetto a quella francese. I preparativi che precedono il tentativo di evasione sono più interessanti da seguire e ricchi di dettagli aggiuntivi, i personaggi sono delineati meglio e risulta più facile l'immedesimazione.


Haggis abbandona fortunatamente la retorica dei suoi precedenti lavori e si limita a suggerire, senza mai affrontarlo apertamente, tutto il discorso riguardante un sistema giudiziario scorretto ed iniquo per definizione.
Il fatto di non insistere troppo su tali aspetti si rivela però positivo per due fondamentali ragioni: la prima è che non ce n'era particolarmente bisogno; è tutto sufficientemente chiaro così ed è già sorprendente che un film di Hollywood affronti in questo modo una questione così delicata.
La seconda è che la pellicola ne guadagna in ritmo e tensione.
Il discorso è leggermente diverso per quanto riguarda l'originale del 2008, dato che sia il ritmo che la tensione sono presenti in quantità decisamente inferiori. Cavayé, al suo primo lungometraggio, si limita al compitino. La sua regia non colpisce e nonostante la durata contenuta si avverte qualche momento morto di troppo. Nella versione francese è tutto molto più semplice, ci si basa più sull'idea che sulla realizzazione della stessa e la costruzione è meno solida rispetto a quella di altri thriller francesi dello stesso genere.
Stranamente, la versione del 2008 è anche quella che per prima decide di rassicurare lo spettatore, dimostrando l'innocenza della moglie in un flashback che ci spiega come si sono realmente svolti i fatti.
A Pour Elle, come sempre quando si fa un confronto fra originali e remake, va comunque riconosciuto il merito di essere stato il primo e di aver influenzato Haggis nella realizzazione di alcune scene in tutto e per tutto uguali a quelle del prodotto francese.
Resta il fatto che la versione americana, per quello che si propone di essere (una tamarrata d'intrattenimento senza pretese), è una pellicola con pochi difetti.
Ve ne sono due in particolare che mi hanno un po' infastidito. Il primo riguarda la scena della chiave, utile a creare empatia col protagonista ma completamente priva di logica, dato che non si capisce proprio come Crowe avrebbe potuto servirsi della semplice chiave di un ascensore della prigione per far evadere la moglie. La seconda è invece quello del testacoda in autostrada, annoverabile fra le scene più trash degli ultimi anni.
Il mio consiglio – ed è un brutto consiglio, lo so – è di passare direttamente al remake.

Pour elle: 11/20
The next three days: 13/20

domenica 12 febbraio 2012

My sassy girl


Yeopgijeogin geunyeo
Di Jae-young Kwak, 2001 (Corea del Sud), 123 min./137 min. (Director's cut)
Con Tae-hyun Cha, Gianna Jun
Scritto da Jae-young Kwak, Ho-sik Kim, tratto dal libro di Ho-sik Kim

Kyun-woo, studente universitario svogliato che sogna di incontrare il vero amore, conosce sulla metropolitana un ragazza ubriaca che, dopo aver vomitato sul parrucchino di uno sconosciuto, si gira verso di lui chiamandolo “tesoro” e poi sviene accasciandosi a terra. Convinti che i due stiano davvero insieme, gli altri passeggeri esortano Kyun-woo ad occuparsi della ragazza. Nasce così una travagliata, assurda e atipica storia d'amore.

Commedia sentimentale di enorme successo, My Sassy Girl unisce momenti divertenti ad altri leggermente più drammatici. In Asia è stato quasi capace di raggiungere gli incassi di Titanic, diventando uno dei film coreani più visti di tutti i tempi. La storia è tratta dal diario personale che Kim Ho-sik pubblicava sul suo blog; dal blog si è poi passati al libro e infine al film, che lo stesso Kim Ho-sik ha co-sceneggiato insieme al regista. Difficile dire quanto di quello che vediamo nel film abbia effettivamente avuto luogo, ma tutto ciò che ad una prima occhiata parrebbe aggiunto esclusivamente per rendere la vicenda più interessante contribuisce comunque a rendere la storia d'amore fra Kyun-woo e la ragazza senza nome una specie di favola moderna, lontana dalle pellicole sentimentali a cui siamo abituati.
La struttura, ovviamente, è quella classica: due persone si incontrano, creano un legame di qualche tipo e si aspetta di vedere se alla fine riusciranno a superare gli eventuali ostacoli e rimanere insieme. Gli ostacoli, in questo caso, provengono dalla ragazza senza nome, personaggio dal carattere forte e deciso, ben scritto e interessante da seguire, anche nei momenti in cui alcuni suoi comportamenti potrebbero sembrare forzati. È lei a decidere il ritmo della nuova relazione, e lo fa senza riflettere, arrivando anche a trattare male il suo nuovo compagno: lo insulta, lo usa, minaccia (più o meno scherzosamente) di ucciderlo, ma in fin dei conti l'affetto che prova per lui è evidente.
Il personaggio principale, vero e proprio narratore della storia, è però Kyun-woo. A chi continua a chiedergli che cosa avrà intenzione di fare del suo futuro lui continua a rispondere, con una certa svogliatezza, che non ne ha la minima idea. Non lo sa e nemmeno gli interesssa saperlo, consapevole del fatto che diventare un meccanismo attivo della società non gli porterà nulla di buono, non pensa ad altro che a quella strana ragazza senza nome che continua a trattarlo male. E uno degli aspetti più coinvolgenti della pellicola è proprio il notare come non riesca a capacitarsi del fatto che lui, proprio lui, sia rimasto coinvolto in una storia del genere con una ragazza che giudica perfetta.
Ad allontanarsi dalle solite commedie drammatiche sentimentali sono più che altro la messa in scena e il modo di trattare i personaggi e le dinamiche che ne regolano il complicato rapporto. Si notano qualche piccolo siparietto di umorismo tipicamente orientale (le scene in cui Kyun-woo si fa inseguire dalla madre risulterebbero probabilmente fuori luogo anche in una commedia demenziale) e un paio di scene forse fin troppo assurde come quella dei militari, che però finiscono per inserirsi senza problemi nell'atmosfera del film.
Nel 2008 gli americani ne hanno fatto un remake con Elisha Cuthbert nella parte della ragazza senza nome, che in questo caso però si chiama Jordan. Probabilmente non lo vedrò mai.

15/20

venerdì 3 febbraio 2012

Take Shelter


Di Jeff Nichols, 2011 (USA), 120 min.
Con Michael Shannon, Jessica Chastain, Shea Whigham
Scritto da Jeff Nichols

Curtis LaForche è a capo di una squadra in un'impresa mineraria. Ha una moglie che lo ama e una figlia sordomuta di cui prendersi cura. Stanno bene, non hanno particolari problemi economici e sognano di potersi un giorno trasferire in una casa sulla spiaggia.
Questo benessere viene però interrotto quando Curtis inizia a sognare l'arrivo di un'incontrollabile e gigantesca tempesta. Col passare dei giorni, gli incubi diventano vere e proprie visioni apocalittiche in grado di manifestarsi anche in pieno giorno.
Se di certi film, prima di vederli, preferireste non sapere nemmeno i nomi degli attori, potete considerare finita la recensione. Potrei al massimo seguire il consiglio datomi qui da Elio e limitarmi a dirvi: Capolavoro. Guardatelo. Punto.
Ad ogni modo gli spoiler più significativi si trovano solo nelle ultime righe e ci sarà un ulteriore avvertimento. Il resto può essere letto senza troppi problemi.


Si è parlato molto, in America, di come questo film sia una metafora della sua condizione attuale, concetto però facilmente estendibile ad ogni altra nazione del pianeta. Una sorta di avvertimento, uno studio sulla paura di quello che il futuro potrebbe riservare ad una società che al futuro continua a non pensare. Probabilmente è così, eppure lo stesso Nichols si è sempre dimostrato contrario a parlare dettagliatamente del finale della sua opera e dei suoi possibili significati.
Personalmente, a colpirmi durante la visione, sono state più che altro le intenzioni di descrivere un personaggio intento a lottare contro un presunto disequilibrio mentale, da lui temuto per via della storia della madre, improvvisamente impazzita quando aveva più o meno la sua stessa età. Ora, senza stare ad insistere più di tanto su quelli che sono i miei pensieri riguardo al concetto stesso di psichiatria e di “malattia” mentale, e provando a dimenticare il fatto che Nichols abbia affermato in un'intervista che la scena in cui Curtis va dallo psichiatra sia effettivamente una delle più importanti del film (e questo non dice comunque nulla su quale potrebbe essere la chiave di lettura più azzeccata), preferisco non limitarmi ad una singola interpretazione e concentrarmi sul fatto che Take Shelter, in ogni scena, dialogo ed inquadratura, è un'immensa lezione di cinema. Ovviamente per quelli che sono i miei gusti.

Entriamo nella routine di Curtis consapevoli di come questa cambi con il progressivo aggravarsi dei suoi incubi. Le visioni hanno infatti il potere di influire pesantemente sulla sua vita, sia dal punto di vista mentale che fisico, come nel caso del dolore al braccio avvertito all'indomani di un sogno in cui si faceva mordere dal cane.
Alcuni di questi sogni non sono mostrati e ci limitiamo a viverli sentendoli raccontare da Curtis, ma la maggior parte li possiamo vedere anche noi, in quelle che sono indubbiamente le scene più potenti ed angoscianti della pellicola. Risultano talmente coinvolgenti che lo spettatore è inevitabilmente portato a credere che quelle di Curtis siano a tutti gli effetti delle vere e proprie premonizioni di un qualcosa di indefinito che prima o poi non potrà fare a meno di manifestarsi. Ma Nichols è bravo e rimane in equilibrio, cattura col dubbio e spaventa con tecniche per certi versi vicine a quelle del cinema horror, un genere che farebbe bene a prendere in considerazione.
Fortunatamente la lavorazione è stata a tutti gli effetti indipendente; Nichols ha dovuto preoccuparsi esclusivamente dei tempi senza curarsi di eventuali intromissioni da parte di majors e produttori e questo gli ha permesso di girare esattamente il film che aveva in mente. La sua bravura dietro la macchina da presa è invidiabile, e malgrado la si noti di più durante le brevi visioni che perseguitano LaForche – ve ne sono due in particolare che, per tecnica e contenuti, riescono a togliere il respiro – risulta evidente anche nel resto della pellicola.
Gran parte del merito va anche a Shannon, bravo in modo imbarazzante, e alla Chastain, protagonista di un'annata praticamente perfetta.


SPOILER

Infine, dopo due ore passate a chiedersi se la minaccia fosse reale o simbolizzasse semplicemente il disturbo mentale del protagonista, arriva l'ultima scena. La tempesta c'è, è lì, la si può vedere, sentire e anche toccare, attraverso le gocce di pioggia color ruggine. Curtis guarda Samantha, cercando un cenno d'intesa, una rassicurazione di qualche tipo, e lei annuisce, come per dire “sì, la vedo anch'io, è tutto vero”. Non si potrà forse mai sapere se quel cenno di Samantha rappresenti l'accettazione del malessere di Curtis oppure l'inevitabile resa di fronte ad un'apocalisse che non potrebbe ormai essere più reale di così. Insomma, che la fobia di Curtis di impazzire sia giustificata o meno, che sia veramente un film sulla follia, oppure su un'ipotetica fine del mondo o sulla crisi economica, poco importa; rimangono la profonda sensazione di angoscia e paura e la convinzione di aver visto uno spiazzante capolavoro.

19/20

mercoledì 1 febbraio 2012

Treni strettamente sorvegliati


Ostre sledované vlaky
Di Jirí Menzel, 1966 (Cecoslovacchia), 93 min.
Con Václav Neckár, Josef Somr, Vlastimil Brodský, Jitka Scoffin, Nada Urbánková
Scritto da Jirí Menzel e Bohumil Hrabal, tratto dal romanzo di Bohumil Hrabal

Ambientato nella Cecoslovacchia occupata dai nazisti, è la storia di Milos, qui al primo giorno di lavoro. Deve prendere il posto del padre, che può finalmente godersi la pensione dopo aver lavorato per anni nella piccola stazione del villaggio. Dopo la breva scena dell'incoronazione fatta col cappello della divisa da lavoro, Milos arriva in stazione e conosce i suoi colleghi, fra cui spiccano il donnaiolo Hubicka e il capostazione Valenta, orgoglioso di aver fatto carriera resistendo al fascino delle donne ma in realtà gelosissimo dei continui successi del collega.
Tutto procede nel migliore dei modi, fino a quando Milos scopre di non essere in grado di soddisfare sessualmente Masa, la giovane conduttrice di cui è perdutamente innamorato.

Milos è un ragazzo particolare, timido e riservato, e tramite la breve presentazione iniziale della sua famiglia e degli strambi personaggi che la compongono, si capisce subito quali saranno i toni della pellicola. Suo nonno, tanto per dirne una, è stato schiacciato dai carri armati tedeschi mentre tentava di ipnotizzarli per fermarne l'avanzata verso Praga. Suo padre, invece, dopo essere riuscito a raggiungere la pensione a 46 anni, passa le sue giornate senza nemmeno alzarsi dal divano. Milos, pigro quanto lui, è decisamente contento di aver trovato un lavoro che gli permetterà di non fare praticamente niente per tutto il giorno: stare per ore su una piattaforma con un disco in mano a parlare coi colleghi è quanto di meglio ci possa essere. Niente lavori pesanti, nessuna fatica.
La trama del film è estremamente semplice, ma il climax narrativo con l'assalto al carico di munizioni tedesche è solo una scusa. Qui si parla d'altro e Menzel preferisce concentrarsi sui personaggi, uomini e donne dipinti con tenera ironia, guidati dalle passioni e dai sentimenti, pronti a far passare l'amore – che sia quello serio di Milos e Masa o quello apparentemente più frivolo fra Hubicka e le sue tante conquiste non fa differenza – prima di ogni cosa. Si potrebbe quasi affermare che la parte conclusiva del film sia addirittura troppo forzata e seriosa rispetto al resto della pellicola, poiché distoglie in parte dalla magica e surreale atmosfera che si era creata in precedenza.
Si avvertono, a tratti, gli stessi toni spensierati di quel capolavoro anarchico e antimilitarista che è MASH. Il contesto è diverso, ma le descrizioni dei personaggi, i loro rapporti e i dialoghi tanto demenziali quanto profondi sono invece molto simili. E proprio come nel film di Altman, la guerra passa in secondo piano, come un piccolo ostacolo facilmente aggirabile.
Notevole la regia di Menzel, qui al suo primo lungometraggio, ma anche la recitazione dei giovani attori, la cui inesperienza contribuisce in parte alla riuscita di una commedia malinconica e sensuale in grado di far sorridere dall'inizio alla fine.

16/20