sabato 21 maggio 2011
Illégal
Di Olivier Masset-Depasse, 2010 (Belgio, Lussemburgo, Francia)
Con Anne Coesens, Alexandre Gontcharov, Natalia Belokonskaya, Olga Zhdanova
Scritto da Olivier Masset-Depasse
Montaggio di Damien Keyeux
Fotografia di Tommaso Fiorilli
Musiche di André Dziezuk, Marc Mergen
Durata: 90 min.
Tania e suo figlio Ivan vivono in Belgio da ormai parecchi anni. Immigrati clandestinamente dalla Russia, devono convivere con la paura di essere sottoposti a un controllo d'identità da parte delle forze dell'ordine. Controllo che puntualmente arriva dopo pochi minuti di film. Ivan riesce a scappare, ma i due poliziotti (che evidentemente non avevano nulla di meglio da fare che chiedere i documenti a madre e figlio di ritorno da scuola con tanto di zaino in spalla) riescono a catturare Tania e a portarla in un centro di accoglienza. Convinta di doverci restare “solo” per cinque mesi, entra in crisi quando scopre che potrebbero espellerla dal paese con la forza.
In un mondo fatto di barriere, confini, leggi e discriminazioni, non ci si dovrebbe stupire che accadano cose come quelle che Tania, le sue nuove compagne nel centro e altre centinaia di migliaia di persone sono costrette a subire. Eppure si resta a bocca aperta nel notare come tutta questa burocrazia delle vite, questo dover essere forzatamente inseriti in un sistema che pretende tutto senza poi dare nulla, continui ad esistere e ad essere considerato giusto o ben che vada inevitabile. È un'amministrazione violenta dell'esistenza che in un certo senso coinvolge tutti, non solo chi la subisce in modo così diretto e violento come gli immigrati clandestini in Europa.
Così come il potere non degrada solamente chi lo subisce, ma anche chi lo esercita: la guardia gentile e comprensiva che nel vedere il corpo di una ragazza impiccatasi nelle docce decide finalmente di andarsene togliendosi la divisa ne è la dimostrazione perfetta. Un altro tipo di degrado è invece quello che colpisce i poliziotti che per sfogare lo stress maltrattano e picchiano i detenuti (uomini, donne... cambia poco). Inutile commentare...
Detto questo, il film è da vedere per le tematiche e il modo abbastanza diretto in cui vengono presentate, ma non è certo memorabile. Per il regista è fin troppo facile portare lo spettatore dalla parte di Tania, mostrandone sofferenza fisica e psicologica, ma in certi casi è come se si accontentasse di questo, senza andare oltre. Probabilmente non ne ha sentito il bisogno e la sua è stata una scelta ponderata, ma a mio parere il risultato finale ne risente. Ha comunque il pregio di far riflettere, e alcune scene sono particolarmente riuscite.
Una delle più significative si trova forse verso l'inizio del film, quando Tania si rifiuta di fornire le proprie generalità e le viene quindi consegnata una carta con un semplice numero identificativo con cui poter circolare nel centro di accoglienza. La guardia che si occupa del suo ingresso allora le chiede se non sarebbe più logico e carino farsi chiamare con un nome. Lei non risponde, prende il suo nuovo documento, e se ne va. È una scena importante che mi ha quasi fatto ridere per la sua assurdità: il problema non è tanto essere chiamati per nome piuttosto che con un numero, il problema nasce quando l'unico modo per esistere è quello di possedere un documento o un foglio di carta che dia il permesso di circolare liberamente. In una società del genere non mi pare ci sia poi così tanta differenza fra un nome e un numero, se l'unico scopo è quello di schedare e controllare.
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Interessante la riflessione sul numero e il nome.
RispondiEliminaPrima o poi recupererò anche questo!
Ford, fai pure con calma. Merita di essere visto, ma come ho già scritto, non è sicuramente memorabile. Peccato, perché il tema trattato è molto interessante, purtroppo...
RispondiEliminatematica interessante... magari lo recupero :)
RispondiEliminaSe poi lo vedi fammi sapere!
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