venerdì 29 luglio 2011

Driver l'imprendibile


The Driver
Di Walter Hill, 1978 (USA, UK)
Con Ryan O'Neal, Bruce Dern, Isabelle Adjani
Scritto da Walter Hill
Montaggio di Robert K. Lambert, Tina Hirsch
Fotografia di Philip H. Lathrop
Musiche di Michael Small
Durata: 91 min.

- I don't like that.
- That's the whole idea.


Un anno prima di girare The Warriors e produrre Alien, Walter Hill se ne esce con un secondo lungometraggio davvero degno di nota.
The Driver, o il Cowboy, fa l'autista nelle rapine. È il migliore in città, non sbaglia mai, costa tanto e sceglie con cura i partner con cui lavorare. Conduce una vita solitaria, non ha tempo per le distrazioni e non spende praticamente nulla dei soldi che guadagna.
Poi c'è lo sbirro, il Detective, anche lui senza un vero nome, con la semplice funzione di antagonista spietato, inspiegabilmente determinato nel voler sbattere il Cowboy in galera; una vera ossessione la sua, tanto che pur di incastrarlo e vederlo dietro le sbarre è disposto ad organizzare un colpo in banca servendosi di una coppia di violenti rapinatori che ha appena arrestato. I suoi colleghi non approvano, gli dicono che non ha senso e che le cose potrebbero prendere una brutta piega: a rapinare le banche, di solito, è proprio la gente a cui danno la caccia. Ma tutto questo, al Detective, sembra non importare.
Ovviamente niente andrà come previsto, e il Cowboy sarà costretto a guardarsi le spalle sia dalla polizia che dai suoi nuovi colleghi.
Classico film d'azione anni '70: essenziale, solido, senza momenti morti o scene inutili. The Driver è un western metropolitano praticamente perfetto, con personaggi da noir semplici ma comunque ben caratterizzati, dialoghi efficaci e un paio di scene memorabili. Assurda quella in cui il protagonista accetta finalmente di parlare con quelli che vogliono incastrarlo per conto della polizia: sale sulla loro macchina, la distrugge quasi completamente durante un giro di prova in un parcheggio sotterraneo e poi se ne va, faccia seria ma rilassata come al solito, dicendo che lui, con gente come loro, non ci lavora.
Bravi anche gli attori, a parte una Isabelle Adjani che in alcuni momenti risulta un po' impacciata. Davvero divertente, merita di sicuro una visione.

martedì 26 luglio 2011

Laborioso, laborioso, laborioso.


Ghiaccio-Nove, Kurt Vonnegut, 1963

Un fervente bokononista che si accingesse a parlare di questo libro, probabilmente userebbe proprio questa parola: laborioso. Ripetuta tre volte però, per sottolineare quanto sia davvero complicato e imprevedibile, in realtà, il meccanismo che regola la vita. Anche se, va detto, laborioso, laborioso, laborioso andrebbe usato più per questioni importanti, di quelle che ti fanno sentire piccolo e insignificante. Ma va bene anche così; Bokonon, ne sono sicuro, non se ne avrebbe a male.
Il bokononismo è una religione che parte dall'assunto che tutte le religioni, bokononismo compreso, siano fondate su un mare di menzogne, ed è proprio da qui che parte Vonnegut, spiegando già nella prima pagina che niente è vero, in questo libro, e spingendo il lettore a vivere di foma, quelle innocue bugie che riempiono la nostra quotidianità.
La storia è più o meno questa: John – o Jonah, è uguale – è uno scrittore che vuole scrivere un libro sul giorno in cui gli americani sganciarono la bomba atomica su Hiroshima, e decide di concentrarsi non tanto sugli accadimenti più tragici ed importanti, quanto sul modo in cui alcuni degli scienziati responsabili della creazione dell'ordigno avessero trascorso la giornata del 6 agosto del 1945 – il giorno della prima esplosione, appunto. Felix Hoenikker, il padre della bomba, è il personaggio che più lo interessa, e John si mette sulle sue tracce partendo da tutte le persone che avevano lavorato con lui mentre era ancora in vita, arrivando poi a contattare i suoi tre figli: Angela, Frank e il piccolo Newt.
Conducendo le sue indagini, John finisce per scoprire che molti anni prima, un generale della Marina aveva commissionato a Felix un'invenzione in grado di solidificare istantaneamente il fango, di modo che i suoi marines non dovessero più sporcarsi o impantanarsi in quella melma. Dapprima restio, Felix se ne interessò per davvero, e dopo qualche anno nacque così il Ghiaccio-Nove, l'arma più pericolosa che il genere umano avesse mai anche solo immaginato: basterebbe infatti una piccola scaglia di quel materiale per solidificare un intero oceano, e di conseguenza fiumi, reti idriche e via dicendo...
John viene poi a conoscenza del fatto che i tre figli di Felix, spaventati da una tale invenzione, decisero di distruggerla, conservandone però una piccola scaglia ciascuno...
Era da parecchio che un libro non riusciva a farmi ridere così tanto, e sono bastate davvero poche pagine perché Vonnegut mi coinvolgesse completamente in questo suo mondo ironico e surreale, pieno di personaggi strambi e particolari che racchiudono in sé tutti i difetti e le fobie della società attuale – e Ghiaccio-Nove, malgrado contenga riferimenti più o meno espliciti alla guerra fredda e alla paura del nucleare, è sempre più attuale ogni giorno che passa.
In più, dopo aver letto Il gioco di Ender, che pensavo fosse un classico ma che si è rivelato una specie di propaganda militarista con protagonisti bambini di dieci anni, fa davvero piacere leggere della fantascienza scritta da un simpatizzante anarchico come Vonnegut che, di fatto, critica tutto quello che mi piace veder criticato, dalla religione alla stupidità intrinseca di ogni tipo di Potere.

domenica 24 luglio 2011

Wristcutters - Una storia d'amore


Wristcutters: a love story
Di Goran Dukic, 2006 (USA, UK)
Con Patrick Fugit, Shea Whigham, Shannyn Sossamon, Tom Waits, Leslie Bibb, John Hawkes
Scritto da Goran Dukic, tratto dal racconto di Etgar Keret
Montaggio di Jonathan Alberts
Fotografia di Vanja Cernjul
Musiche di Bobby Johnston
Durata: 88 min.

Zia, dopo essere stato lasciato da Desiree, decide di farla finita; mette scrupolosamente a posto la stanza, dà l'acqua alle piante, passa l'aspirapolvere, pulisce addirittura la lampada e si taglia poi le vene davanti allo specchio del bagno. Accasciatosi privo di forze sulle piastrelle, il suo ultimo pensiero va purtroppo a un mucchietto di polvere colpevolmente sfuggito alla sua attenzione, rovinandogli la perfezione del momento; ma ormai è tardi per i rimpianti, un ultimo respiro ed è tutto finito, o quasi...
In realtà Zia non muore, o meglio, muore ma si risveglia nella destinazione obbligata di tutti coloro che si sono suicidati: un mondo similissimo al nostro in cui è però impossibile sorridere. Nella città senza nome in cui finisce, le cose sembrano procedere grosso modo come quando era in vita. Si trova quindi un lavoretto in un ristorante e passa le serate a bere birra e a giocare a biliardo in compagnia del suo nuovo amico Eugene, un ex musicista russo, fino a quando un vecchio conoscente incontrato per caso non gli fa sapere che Desiree si è suicidata un mese dopo la sua morte. Dopo poche ore, Ray e Eugene partono quindi in macchina alla sua ricerca, senza però avere la minima idea di dove andare. Ai due avventurieri si aggiunge Mikal, una ragazza che sostiene di non essersi suicidata e di essere finita lì per errore.
Facendo le sue apparizioni cinematografiche in film come Down by law, Dracula e La leggenda del re pescatore, Tom Waits mi aveva abituato decisamente bene. Poi mi è capitato di vederlo anche in Domino, Parnassus e Codice Genesi, e ho iniziato a storcere il naso; insomma, pensavo se li scegliesse solo belli. In questo caso, anche se cronologicamente precedente a due degli ultimi titoli che ho citato, ha decisamente rimesso le cose a posto. Ma Tom Waits non è sicuramente il motivo principale per cui vedere questo film. Wristcutters è una specie di commedia romantica surreale e delicata che ricorda non poco certe particolarità del cinema di Jarmusch, pur non riuscendo mai a risultare altrettanto affascinante.
Sul difficile tema del suicidio ci sarebbe molto da dire, ma Dukic, nonostante decida di affrontarlo in modo decisamente leggero, non diventa mai volgare, e riesce anche ad essere toccante.
Consigliatissimo; peccato solo per una parte finale un po' forzata e frettolosa.


martedì 19 luglio 2011

FAQ about time travel


Di Gareth Carrivick, 2009 (UK)
Con Chris O'Dowd, Marc Wootton, Dean Lennox Kelly, Anna Faris
Scritto da James Mathieson
Montaggio di Stuart Gazzard, Chris Blunden
Fotografia di John Pardue
Musiche di James L. Venable
Durata: 83 min.

Time travel. It'll turn your brain into spaghetti if you let it. Best not to think about it. Best just to get on with the job in hand. Which is destroying the enemy before they're even born and have a chance to threaten us. We're expecting any resistance to be light, because the ancestors of our enemies have yet to evolve any thumbs... or indeed spines. But that does not change the fact that they may one day evolve into a species that may pose a threat to us. And for that reason, we are going to rain down a fiery death upon them that will turn the surface of their planet into a radioactive desert! Because we are the planetary peace corps! And that is what we do! Now, are you nappy-wearing motherfuckers ready to lock and load, and get it on?

Non è il discorso di un comandante invasato che carica i suoi uomini prima di una guerra intergalattica, non ci troviamo in un lontano futuro a bordo di un'avveniristica astronave e nessuna razza aliena minaccia la nostra inutile esistenza. A parlare è Ray, impiegato in un parco di divertimenti, e il suo pubblico è composto unicamente da bambini innocenti, arrivati fin lì armati di occhialini 3D e convinti di dover semplicemente affrontare l'ennesima, pacifica attrazione della giornata. Il discorso di Ray scatenerà invece un insieme caotico di lacrime, vomito e grida di terrore, e quello che voleva essere un timido tentativo di coinvolgere maggiormente i marmocchi accorsi in massa, lo porterà al licenziamento. Nell'ufficio del capo, con ancora indosso l'improbabile tuta spaziale, il nostro Ray non proverà nemmeno a difendersi: troppo crudele, quella sua uscita al di fuori degli schemi; i bambini, si sa, cercano sicurezza anche nelle attrazioni più avventurose.
Per tirarsi su il morale dopo il licenziamento, Ray e altri due suoi amici si ritrovano quindi al pub, a bere pinta su pinta e a parlare del più e del meno. Salta fuori, come al solito, l'argomento viaggi nel tempo, e dopo pochi minuti i tre si ritrovano a condividerne con trasporto dubbi e teorie. A un certo punto, dopo essersi alzato per occuparsi dell'ennesimo giro di birra collettivo, Ray torna al tavolo e confessa divertito ai suoi amici di aver appena incontrato una donna proveniente dal futuro. Mentre lui è convinto che si sia trattato di uno scherzo, Toby e Pete insistono nel dire che non ne sanno niente, e faticano quindi a credergli. Dopo qualche minuto di scetticismo generale, scopriranno che entrando nel bagno del locale è effettivamente possibile viaggiare nel tempo, e si ritroveranno intrappolati fra varie esistenze parallele, nel costante ed apparentemente inutile tentativo di tornare al presente e mettere a posto le cose.
Viaggi nel tempo e realtà parallele hanno da sempre affascinato scrittori, registi e appassionati di fantascienza, scatenando ogni volta dubbi e domande (“sono confuso, sono confuso”, continua a ripetere Pete in una scena del film). FAQ about time travel (un grazie ad Alice, che ne parla qui, per avermelo fatto conoscere) non tenta di rispondere a nessuna di esse, e riprende la maggior parte dei luoghi comuni già analizzati in altre opere, ma lo fa in modo diverso, basandosi principalmente su dialoghi intelligenti e su una trama originale e tutto sommato imprevedibile. Nonostante il budget ridicolo e gli effetti speciali scadenti, Carrivick e soci creano una piccola chicca, divertente e mai banale.
Consigliatissimo sia agli appassionati di fantascienza che agli amanti dell'umorismo inglese.


domenica 17 luglio 2011

Doomsday


Di Neil Marshall, 2008 (UK, USA, Sudafrica, Germania)
Con Rhona Mitra, Malcolm McDowell, Bob Hoskins, David O'Hara
Scritto da Neil Marshall
Montaggio di Neil Marshall, Andrew MacRitchie
Fotografia di Sam McCurdy
Musiche di Tyler Bates
Durata: 105 min.

In pochi giorni un terribile virus spazza via gran parte della popolazione della Scozia; per contenerne la diffusione endemica si decide di costruire un enorme muro di cinta che separi il paese dal resto del mondo.
Senza che questo diventi una specie di post politico, va subito detto che in questo film, agli scozzesi, è stata offerta un'opportunità incredibile. Vengono isolati e dimenticati dal mondo, senza governi o istituzioni a imporre regole e ritmi di vita, niente inquinamento, banche, soldi, insomma: le condizioni ideali. I pochi superstiti però non ne approfittano, e invece di ripartire da zero costruendo la società dei sogni, si dividono in due principali fazioni: la prima composta da cannibali sadomasochisti, la seconda da spostati convinti di trovarsi nel medioevo.
Ma in fondo non c'è niente di strano: in tutte le pellicole post-apocalittiche che ho visto, una volta che spariscono leggi e controlli gli esseri umani si trasformano - quasi tutti, praticamente senza eccezioni! - in stupratori e assassini, intenti a vagare per lande desolate in cerca della prossima vittima, perlopiù raggruppandosi in bande spietate dal grilletto facile. In questo caso c'è anche la scusante del virus, che all'inizio non deve aver reso la vita facile a nessuno.
Ad ogni modo, dopo la prima scena introduttiva che ci presenta in pochi minuti diffusione del virus, isolamento della Scozia e la bambina che diventerà poi la protagonista principale del film, passano una trentina d'anni, e nel frattempo il mondo sembra essersi dimenticato sia dell'epidemia che dell'intera Gran Bretagna, schiacciata da sovraffollamento e disoccupazione. Come se non bastasse, nei sobborghi di Londra viene individuato il focolaio di quello che sembra essere a tutti gli effetti il virus Reaper che aveva sterminato la Scozia. In una lotta contro il tempo, il governo inglese, ormai a conoscenza del fatto che alcuni superstiti sono riusciti a resistere al virus, incarica quindi Bob Hoskins di mandare una squadra oltre il Muro per trovare una possibile cura.
Lo dico subito: Doomsday è una trash-tamarrata che probabilmente non ha nemmeno la metà del fascino delle pellicole a cui si ispira e che vuole senza dubbio omaggiare, eppure, nella sua sfacciataggine, riesce a stupirmi ad ogni visione. Marshall mette su un divertissement senza logica, fra punk, cavalieri medievali con lancia e armatura, scene cannibalesche fuori luogo, combattimenti sanguinolenti e vari inseguimenti in moto, treno, macchina e mezzi blindati. Non c'è nessuna morale particolare, nessuna critica alla società, solo intrattenimento senza pretese. Talmente esagerato che funziona alla grande.